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RADIOHEAD E LA MUSICA ON LINE
IL FUTURO DIPENDE DA NOI

La band di Oxford ha messo in vendita il suo ultimo album su internet, a un prezzo deciso deciso dall'acquirente (anche zero). Successo o fallimento? Provocazione destinata a cadere, o indicazione di un nuovo futuro per i consumi musicali? In molti hanno reagito, Thom Yorke ora dice la sua...

Miriam Giudici

It's up to you: dipende da te. Con questo slogan i Radiohead hanno dato il via, lo scorso ottobre, a una delle operazioni discografiche più discusse degli ultimi tempi.
La band di Oxford ha infatti deciso di mettere in vendita il suo In Raibows, per i primi mesi, solamente su internet: ma non si trattava semplicemente di ordinare online un album non distribuito nei negozi, bensì avere la possibilità di scaricare, del tutto legalmente, In Rainbows in formato mp3, pagando con carta di credito un prezzo deciso esclusivamente dall'acquirente. Fra i valori accettati, anche lo zero.

La cosa è apparsa prima di tutto un chiaro gesto di protesta verso lo strapotere delle major, a detta di Thom Yorke delle multinazionali votate più alla massimizzazione della produttività e dei profitti, piuttosto che a consentire agli artisti la possibilità di esprimere al meglio il loro genio creativo. In un sistema che tratta i musicisti come “fottute scatole di biscotti”, le case discografiche impongono ritmi, dettano agende, non rischiano sugli emergenti e soprattutto trattengono agli artisti una grossa fetta di guadagni.

L'esperimento dei Radiohead nasce da questa situazione che certo non è solo di oggi; ma si inserisce in un'epoca dove sono apparsi attori nuovi, in grado di scompigliare le carte: Internet e lo scambio peer to peer sono da anni una realtà che le case discografiche hanno finora deciso di combattere (con strategie perdenti) piuttosto che sfruttare.

I navigatori sono sempre riusciti a spostare un po' più in là l'asticella del confronto: sfruttando tecnologie sempre nuove, trovando scappatoie fra principi legali in conflitto, e soprattutto continuando ad affermare il potere dilagante della condivisione e dello scambio. I musicisti hanno seguito a ruota, riuscendo a trovare canali di comunicazione e di distribuzione nuovi e a costi minori. Le major discografiche invece sembrano essersi sclerotizzate su battaglie legali farraginose; sono riuscite a colpire nel mucchio qualche “pericoloso pirata”, ottenendo sentenze rilevanti mediaticamente, ma che nel complesso equivalgono a una goccia nel mare. E così, e si parla oramai di anni, dalle ceneri di ogni Napster distrutto sono risorti altri dieci omologhi, sempre più potenti, oramai impossibili da arginare.

Se pensiamo a come si sono evolute le tecnologie e i modi d'uso della Rete, non possiamo pensare che la trovata dei Radiohead sia un gesto dal sapore rivoluzionario, una rivendicazione di libertà o una clamorosa rinuncia al profitto in nome della libera circolazione delle idee e della creatività.
Al contrario, pensiamo che sia una mossa di marketing molto avanzata: sicuramente rischiosa, in quanto è la prima a sondare un territorio inesplorato, ma che ha già ottenuto di far parlare abbondantemente di In Rainbows e dei Radiohead.

Questo è un primo risultato in termini di immagine; ma quali sono stati i reali effetti economici dell'operazione tentata dalla band di Oxford? Occorre dire che i dati sulle vendite online di In Rainbows sono posseduti esclusivamente dei Radiohead, che recentemente si sono detti più che soddisfatti. Thom Yorke ha dichiarato in un'intervista a Repubblica che nella prima settimana di vendita su Internet (dal 10 ottobre), In Rainbows è stato scaricato 1,2 milioni di volte, a una media di 6 euro per download, e che il 50% circa degli utenti l'aveva pagato zero. Ricordiamo che per avere un quadro completo della situazione bisognerebbe conoscere i dati globali e anche aggiungere ad essi i proventi della vendita della prestigiosa edizione in doppio vinile dal costo di 40 sterline (per la gioia dei fan più accaniti, che nel caso dei Radiohead non sono pochi), e poi quelli della vendita del cd “come la conosciamo”, che avverrà dai primi del 2008.

Se la band si dichiara contenta dell'esito dell'operazione, nelle scorse settimane sono comunque apparsi sulla stampa numerosi articoli che la definivano fallimentare: secondo stime basate su sondaggi, si era giunti alla conclusione che gli utenti avessero deciso di investire sull'album una media di pochi euro a testa. Media dalla quale andava estrapolato il dato forse più succoso per i detrattori dei Radiohead, ovvero: qualcosa come il 60% degli acquirenti aveva deciso di pagare l'album niente.

Si sa che quando anche la matematica diventa un'opinione e si imbastiscono riflessioni su numeri che non collimano, ogni conclusione lascia il tempo che trova. È un fatto che i veri dati sull'esito del downloading li abbiano solo i Radiohead, i quali possono decidere se comunicarli – e in che modo – alla stampa.

Possiamo però sottolineare alcuni punti: per esempio, anche basandoci sui dati pessimistici diffusi da alcune testate, a seconda di considerare il classico bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, le cose si vedono in modo diverso. Il 60% dei fans ha scaricato In Rainbows per niente? Sì, ma forse possiamo rimanere sorpresi dal fatto che 40 persone su 100, messe davanti alla possibilità di scaricare in modo veloce e legale dei contenuti in modo gratuito, abbiano deciso invece di pagare di spontanea volontà. Questo non era del tutto scontato.

Possiamo poi iniziare a riflettere sul fatto che questi guadagni vadano ai Radiohead in una percentuale molto maggiore di quella che avrebbero avuto affidandosi a una casa discografica.

E al di là di ciò, ci sembra opportuno ragionare sempre tenendo a mente che la pratica del download a costo zero di musica e video è una realtà consolidata.
Dunque: se i Radiohead avessero messo in vendita In Rainbows nei modi tradizionali, un numero più che consistente di persone se lo sarebbe procurato a costo zero illegalmente, mentre un certo numero di persone l'avrebbe acquistato nei negozi a prezzo pieno.

La domanda è: con la loro operazione, i Radiohead hanno perduto una quota dei possibili paganti (quindi fallendo) che ora hanno potuto scaricare l'album a costi molto bassi o nulli? Oppure hanno pescato dalla inevitabile quota dei non paganti (quindi vincendo) un certo numero di persone che non avrebbero comunque comprato l'album a prezzo pieno, ma che, potendo pagalo meno, hanno stavolta deciso di non rubarlo?

Le risposte possono essere tante. Posso provare a darne io una personalissima, ma forse simile a quella che potrebbero dare tante persone “normali”, amanti dei Radiohead ma non fan sfegatati, non povere in canna ma comunque giovani e con momenti “in bolletta”.
Lo ammetto: ho scaricato In Rainbows a 2 sterline. I fans accaniti mi diranno forse che questa somma svaluta il lavoro della band e che ho approfittato dell'offerta. Ribatto: che era comunque stata data dai Radiohead la possibilità di non pagare nulla; che comunque non avrei pagato a scatola chiusa il normale prezzo di mercato di un cd; e che piuttosto, sì, mi sarei affidata al fido Mulo almeno per “assaggiarlo”.

Ma almeno qualcosina ho pagato; e In Rainbows, ora che ho ascoltato e valutato, mi piace così tanto che forse deciderò che vale la pena tenerne un originale di fianco allo stereo; e ho anche pensato che quegli euro che ho potuto risparmiare questa volta, li potrò reinvestire in qualcosa di unico e irripetibile, qualcosa che metterà in contatto me e i Radiohead più di quanto non faccia la rete, qualcosa che davvero non si può scaricare: il loro attesissimo (e costoso, ahimè) live del 18 giugno a Milano.

Qualcosa ai Radiohead glielo devo. Come finisce questa che sembra una gara di furberie? Alla fine, tirate le somme, hanno vinto loro o ho vinto io? Mi sa che stavolta abbiamo vinto tutti.



(06/12/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Conoscere la forza della musica è benessere

  
  
 
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