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SUMMIT SULL’AMBIENTE
UN LIETO FINE A META’

Con un giorno esatto di ritardo si è chiusa il 15 dicembre la 13esima conferenza mondiale sui cambiamenti climatici. Conclusioni? È nata la tanto sospirata “roadmap” che impegna tutti gli stati firmatari ad impegnarsi nei prossimi due anni per elaborare il Kyoto-2, come è stato definito il protocollo che sostituirà quello ratificato nella città giapponese nel 1997.

Alessandra Profilio

Dopo una lunghissima notte di trattative sfociata nelle lacrime di stanchezza di Yvo de Boer, segretario esecutivo del summit, la situazione si è sbloccata tramite una mediazione fra Stati Uniti ed Europa: quest’ultima ha accettato di escludere dalla roadmap l’indicazione in percentuale delle riduzioni di gas serra previste per il 2020 e, a tali condizioni, gli Usa hanno sottoscritto l’accordo, consapevoli ormai di non potere più ricoprire il ruolo del “cattivo”.

Una conclusione, questa, che è frutto di un compromesso e di una parziale accettazione della proposta di misure flessibili lanciata dal governo americano, fermamente contrario all’obbligatorietà del taglio di emissioni.

Un accordo che appare quindi come un premio di consolazione che lascia molti insoddisfatti dato che per salvare il pianeta è necessaria una immediata e drastica riduzione dei gas serra; al contrario, bisognerà aspettare il 2009 e la nascita del nuovo protocollo per l’adozione di misure rigide e precise.

Importante è però che i paesi in via di sviluppo, esenti da qualsiasi obbligo di riduzione di gas CO2, hanno espresso ora la volontà di impegnarsi per l’ambiente e chiedono ai paesi ricchi finanziamenti e tecnologia.

Sono state due settimane di intenso travaglio, che proprio nella sua ultima fase hanno conosciuto i momenti più difficili. Una pioggia di applausi alla neo-convertita a Kyoto, l’Australia, aveva inaugurato il summit e infuso un clima di speranza e ottimismo ai 10000 delegati accorsi a Bali, ma l’evolversi del vertice ha dimostrato che non sempre che “il buongiorno si vede dal mattino”.

E infatti già dalle ore successive le diverse posizioni dei partecipanti preannunciavano lunghi ed estenuanti giorni di negoziati. Ad ogni modo per quasi due settimane si era mantenuto un fragile equilibrio e, fra previsioni catastrofiche, rimproveri e proposte, i lavori sono proseguiti.

La bufera vera e propria però si è scatenata proprio nelle ultime 48 ore quando come un fulmine, non proprio a ciel sereno, è giunta da Stati Uniti, Russia e Canada una proposta di non-azione che ha fatto sobbalzare dalle sedie tutti i partecipanti al vertice. Il mondo intero ha tremato temendo il fallimento del summit e prefigurando scenari apocalittici.
Dopo une notte di bufera, quella tra il 14 e il 15 dicembre, il giorno successivo è stato salutato dal sole: la strada è segnata adesso bisogna percorrerla per giungere nel 2009 ad un Kyoto-2 che preveda misure chiare ed efficaci per tutelare e curare un pianeta in grave stato di malessere.

“Riusciranno i nostri eroi” a salvare il pianeta?, ci siamo chiesti qualche giorno fa. Intanto sono riusciti a non mandare in fumo la conferenza e adesso speriamo che dalle tante parole spese a Bali si passi all’azione e non alla “non-azione”…


(17/12/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Conoscere la terra che abiti è benessere

  
  
 
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