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UNA VITA NORMALE. TRA SCIENZA E FANTASCIENZA
Inviare un email, usare il telecomando della tv, rispondere al telefono grazie alla forza del pensiero e ad un neurochip impiantato nel cervello. La neuroscienza offre un’opportunità ai tetraplegici…Al mio amico Antonio.

Liana Zorzi

Tra una cinquantina d’anni l’intero contenuto del nostro cervello potrà essere “scaricato” su un super-elaboratore. Pensieri come file, ricordi in forma di bit, emozioni rese disponibili come provenissero dal disco fisso invece che dal cervello. E’ lo scenario dipinto da Ian Pearson, scienziato-futurologo di fama che però non incontra il parere favorevole dei suoi illustri colleghi.

A parere di molti scienziati infatti queste speranze non saranno presto realizzabili. Nonostante la ricerca vada avanti da circa trent´anni, la possibilità di mettere in contatto cervello e computer per scaricarne il contenuto suscita ancora polemiche.

E mentre c’è chi pensa che la ricerca sia funzionale alla realizzazione di una biblioteca di “menti umane” scaricate in supporti digitali, gli scienziati più realistici ritengono che la ricerca sulla connessione cervello-computer potrà in futuro aiutare i paraplegici a rendersi più autonomi.

Matthew è il primo tetraplegico nella storia della medicina che, grazie a un neurochip impiantato nel cervello, è diventato il protagonista di un esperimento che ha conquistato, questa settimana, la copertina della rivista Nature.

La storia di Matt inizia su una spiaggia vicino a Boston il 3 luglio 2001. Era la vigilia della Festa dell´ Indipendenza e insieme ad alcuni amici Nagle era andato a vedere i fuochi d´artificio. Ci fu una rissa, lui scese dalla macchina per aiutare gli amici, e poi ciò che ricorda è solo il buio.

Quando si risvegliò Nagle aveva il midollo spinale spezzato da una lama di 20 cm. entrata sotto il suo orecchio sinistro. Da ex idolo del football della locale scuola superiore, si ritrova, a 20 anni, paralizzato, gambe e braccia. La madre è venuta a sapere dell’esperimento BrainGate navigando online, e gli ha portato da leggere un articolo sulla Cyberkinetics del Boston Globe.

È stato proprio Matt a supplicare i medici di essere la prima cavia del test. Così la mattina del 22 giugno 2004, il dott. Friehs, neurochirurgo del progetto BrainGate, effettua la craniotomia, facendosi cautamente largo tra le membrane protettive che circondano la materia cerebrale ed impianta il BrainGate sulla parte di corteccia cerebrale che controlla i movimenti.

Con un minuscolo dispositivo pneumatico, Friehs inserisce i 100 elettrodi, ognuno della lunghezza di un millimetro e dello spessore di 90 micron alla base. Poi richiude la scatola cranica con delle placche di titanio, lasciandovi un piccolo foro, attraverso cui ha fatto passare i cavi da collegare al connettore esterno.

Da allora, Matthew Nagle è un essere bionico in parte biologico e in parte fatto di silicio, platino e titanio. «Il cervello di persone paralizzate anche da tempo — spiega John Donoghue, della Brown University di Providence, uno degli autori della ricerca — può generare, nell'area responsabile dei movimenti volontari, segnali che possono essere trasformati in azione: il paziente riesce così a compiere qualche semplice attività. Ecco come si procede: durante la seduta chiediamo al paziente di immaginare di muovere una mano come se dovesse controllare il mouse di un computer e registriamo quello che succede nella sua corteccia motoria.

Poi studiamo questi segnali, che risultano diversi a seconda di quello che si pensa di fare; li filtriamo e trasformiamo una successione di impulsi nervosi in comandi bidimensionali che si traducono poi in azione.”

Matt ha così iniziato a guidare un enorme cursore verde su uno schermo cercando di colpire un’icona che veniva fuori a pop up in diversi punti del monitor. A volte i movimenti del cursore erano sconnessi, ma a volte estremamente puntuali e precisi.

Era come un bambino di tre anni che impara a usare il mouse, con i suoi lenti e costanti progressi. Poi è arrivato il turno della televisione, e Matt ha iniziato ad accenderla e a spegnerla, e a cambiare canale (intrappolato com’è in una stanza d’ospedale, è praticamente diventato un teledipendente).

Poi ancora ha controllato la posta elettronica. Matt spiega come fa a muovere il cursore: “Per un po’ ho immaginato di spostare il mouse con la mano. Ora invece penso solo al cursore che si muove da un punto all’altro”. In altre parole, la sua mente ha assimilato il sistema. Il cursore è una parte di lui, proprio come lo erano le sue braccia e le sue gambe.

Una delle prime scoperte fatte dai ricercatori, grazie al contributo di Matt, riguarda la distribuzione delle funzioni cerebrali: se il microchip è nella zona giusta del cervello può captare anche i segnali dei neuroni che non vengono toccati. La scoperta è importante perché movimenti complessi richiedono segnali da più zone cerebrali e quindi il BrainGate potrebbe permettere anche ai paraplegici di compiere movimenti che richiedono più segnali e più contatti neuronali.

Nonostante i successi, esiste però il costante pericolo di infiammazione e danneggiamento cerebrale. Gli scienziati affermano che si tratterebbe di un incidente in grado di fermare la ricerca sull´ uomo. Ma niente di tutto questo sembra interessare Matthew Nagle che ottimista dichiara: "Sono sicuro che prima o poi il mio BrainGate mi permetterà di vivere come una persona normale e forse trovare anche un lavoro: sono stato paralizzato per anni, posso anche aspettare i mesi che separano la scienza da questo traguardo.”


(14/07/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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