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LA FINE è IL MIO INIZIO. UNA VITA FRA ORIENTE E OCCIDENTE
TIZIANO TERZANI

In un bellissimo libro-intervista, Tiziano Terzani racconta al figlio Folco quello che ha capito dell’uomo e della storia, e i come e i perché della propria vita, che sta volgendo al termine.

Stefano Zoja

Il pensiero di Terzani abbiamo avuto modo di conoscerlo bene. Chi lo ha letto nei suoi libri, o anche nelle sue corrispondenze dall’Asia, ne ha spesso condiviso la simpatia per gli ultimi, la curiosità nei confronti delle periferie, il sospetto verso le ideologie e il potere, la critica all’idea di obiettività. L’uomo in controluce emergeva sempre, per il suo spessore. Ma mai si è presentato chiaramente come ne La fine è il mio inizio.

Nel marzo 2004 Tiziano Terzani, malato ormai da qualche anno di cancro, invia una lettera al figlio Folco. Si sente ormai vicino alla morte e lo invita a raggiungerlo a Orsigna, dove i Terzani hanno una casa, nel mezzo delle colline toscane. Vuole parlargli, vuole raccontare al figlio la propria vita, “per vedere se, tutto sommato, c’è un senso”.

Tre mesi di chiacchierate libere da condizionamenti, ispirate dalla serenità che Terzani ha raggiunto in questi ultimi mesi, pacificato com’è con l’idea della morte e della malattia. Poi, dopo la morte del padre, un anno e mezzo di lavoro in cui Folco ha completato la trascrizione delle registrazioni e la redazione dell’ultimo, grande libro di Tiziano Terzani. E se la personalità di Tiziano emerge così vivida, grande merito va attribuito a Folco, capace di ritagliarsi con umiltà e senso della misura, uno spazio secondario nel testamento esistenziale del grande giornalista.

Ne è nato un libro-intervista di eccezionale umanità, nel quale Terzani comincia rievocando la sua infanzia fiorentina, custodita da due genitori semplici e dignitosi, e si conclude con il racconto delle esperienze spirituali con cui ha sigillato gli ultimi anni di vita. In mezzo scorre il Terzani più noto, il fenomenale corrispondente di esteri che ha speso trent’anni raccontando le pieghe nascoste di Cina, Vietnam, Cambogia, Thailandia, Giappone, India.

Ma l’uomo era rimasto profondamente fiorentino. Fin dalle primissime pagine la rispettosa trascrizione di Folco racconta di un toscano verace, che aveva abitato l’oriente, aprendosi a esso senza snaturarsi. L’allegria e la bonaria irriverenza da fiorentino, il senso di curiosità tipicamente occidentale raccontano che non c’è stata alcuna conversione in “santone”, che Terzani altro non ha fatto che esercitare in Asia, per decenni, il suo spirito originario. Le sue esperienze meditative sono state semplicemente l’estensione del suo spirito di giornalista, nel senso per cui ogni buon giornalista è innanzitutto un ricercatore. E la ricerca da esterna si è fatta interiore.

Proprio in quanto figura di confine, non (solo) giornalista, nè santone, l’esperienza umana di Terzani riguarda molti. Il senso del viaggio della sua vita è stata proprio la ricerca, al di là del luogo comune. Quando, affascinato dalle idee di Mao Zedong, era partito per la Cina, aveva finito con lo scoprire la follia del progetto. Allo stesso, modo aveva visto tante rivoluzioni ispirate arenarsi nella violenza. La storia e la politica riproponevano gli stessi problemi e le stesse illusorie soluzioni. Per questo Terzani si è rivolto “al proprio ombelico”, persuaso che forse il primo vero cambiamento dovesse essere quello interiore. Ma neppure meditando è diventato un sadhu o un guru. E si divertiva all’idea che qualcuno lo potesse ritenere tale.

Di tutto questo si racconta, di questo suo viaggio, e del suo amore per Angela, la donna di una vita, e per i figli Folco e Saskia, della sua personalità forte, curiosa, del suo rapporto sano con la paura, del suo involontario egocentrismo, che sfociava nella durezza talvolta, della sua capacità di provare tenerezza o affetto per realtà così distanti da lui. E poi della malattia, in cui si è addentrato prima con spavento, poi con curiosità e riconoscenza, fino a questa serena, conclusiva chiacchierata.



(21/07/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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