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LUTTAZZI, L’ICONOCLASTA
NELLA REPUBBLICA DELLE RISATE

Daniele Luttazzi, sei anni dopo, è tornato in tv. Il suo “Decameron” è un potente miscuglio di pensieri e invettive, che cerca l’eccesso a ogni costo. Da un palco di vetro, Luttazzi colpisce allo stomaco potenti, chiesa e cittadini, ciascuno alle prese con i propri tabù.

Stefano Zoja

Espellendo il fiele di anni di ostracismo televisivo, a malapena spurgato per i teatri di tutta Italia – dove però “per raggiungere sette milioni e mezzo di spettatori devi lavorare più di un secolo” –, Luttazzi si è ripreso la ribalta televisiva menando a destra e sinistra. E in alto e in basso. E se non sono sette milioni, sono state più di settecentomila le persone che lo hanno visto, oltre il 6% di share, un ottimo risultato per la piccola La7, che va la alla guerra contro le ammiraglie con il fioretto della televisione intelligente/irriverente. Quella targata Lerner, Paolini, Crozza, eccetera. Cui si è aggiunto, da ieri, Luttazzi l’iconoclasta.

Il palco su cui si muove è l’emblema della trasmissione e la compiaciuta sintesi del personaggio: una grande lastra di plexiglas, sospesa a tre metri dal pavimento. “Comicità dura per tempi insaziabili”, spiega Luttazzi dall’alto della sua precarietà televisiva. Un programma su politica, sesso, religione e morte, e “passato un minuto siamo ancora in onda, chi l’avrebbe detto!”, sorride il comico quando a malapena ha salutato il pubblico.

Poi comincia a colpire, senza remore ideologiche o formali di alcun genere. Il monologo d’apertura è un lungo editoriale politico, in cui Luttazzi attacca destra, sinistra, singoli e trova il tempo di spiegare cos’è l’avanzo primario. Più ragionamenti che risate (e in sottofondo ricompaiono quelle registrate), ma l’intenzione trasgressiva di Luttazzi passa anche da questo.

Seguono rubriche di ogni genere, brevi e brevissime. E nel tiro a segno non c’è solo la politica, ma anche i cittadini, il mercato, o le cariche ecclesiastiche. Tanto per essere chiari: nella fiction “A babbo morto” si racconta di un disadattato (Luttazzi stesso) che passa le giornate fra riviste porno e idiozie in tv, con la bocca perennemente sporca di cioccolato, che fa imbalsamare il padre morto da una settimana (“papà, cominci a puzzare!”) da un agente di pompe funebri che fregherà le mutande al defunto perché firmate Dolce&Gabbana. Oppure lo sketch “Dialoghi platonici”, che vede alcuni sofisti sullo sfondo di un tempio greco confrontarsi sul tema dei preti pedofili, citando casi specifici, mentre spiegano che sì, “Il papa ha perdonato i bambini molestati”.

Non sono graffi, sono sfregi. La confezione stessa degli sketch è minimale, perché nell’ottica del programma non conta la patina, ma, finalmente, il contenuto. E anzi, per esprimere messaggi così diretti, così semplici e dirompenti, non si può che essere naif. La verità si racconta ostentando il paradosso.

Del resto il ritmo travolgente, i colori pop, la mimica del comico (e l’orario della messa in onda) concorrono a smorzare i contenuti, che pure, traslati su una rete Rai in prima serata, avrebbero provocato una benpensante alzata di scudi. Ma se si vogliono corrodere i tabù, se si vogliono smuovere le acque melmose del dibattito pubblico, che in Italia è infettato da parecchi “ismi” (provincialismo, conservatorismo, particolarismo, per esempio), non c’è altra via che l’irriverenza completa.

E’, a pensarci bene, nient’altro che il principio della satira, solo condita dalla personalità dilagante (e ferita) di Luttazzi. La competizione con Grillo o con Crozza, in fondo non esiste, o è personalistica. Dicono le stesse cose, a pubblici simili, con voci e megafoni diversi. E’ la repubblica dei comici, genuina emanazione del nostro dibattito pubblico. Sulla politica hanno una visione del tutto simile. Poi Luttazzi si spinge oltre, sbertucciando i grandi tabù di oggi. Svegliare il cittadino con una sberla, a questo aspira il redivivo, che per il suo rientro televisivo ha scelto un obiettivo satirico ambizioso: la cultura, non solo la politica.

Poi riprende anche le fila del discorso personale il comico, richiamando l’editto bulgaro di Berlusconi e raccontando ai molti che non lo sapessero, che, alla fine, quella causa per diffamazione l’aveva vinta lui. E soddisfatto, gli fa una pernacchia.

Per la prima puntata può bastare. Da un punto di vista televisivo ha dato l’impressione di una roboante sequenza di frammenti. Fra le battute molte erano divertenti, altre meno; le cadute di stile, dentro un calderone simile, sono state sorprendentemente poche, ma ci sono state; le rubriche andranno selezionate e consolidate. Questa era una puntata di lancio e soprattutto di sfogo. E’ stato salutare, non solo per lui. Probabili novità per il prossimo sabato sera.



(05/11/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere

  
  
 
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