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ZONA DISAGIO. RITRATTO DI JONATHAN FRANZEN DA GIOVANE
JONATHAN FRANZEN

In Zona disagio, ultimo lavoro pubblicato da Einaudi, l'autore de Le correzioni costruisce un'autobiografia fatta di suggestioni, salti, riflessioni sull'oggi e sul passato. Che diverte e commuove.

Miriam Giudici

Nel suo ultimo libro Franzen decide di esplorare i momenti cruciali dell'infanzia, dell'adolescenza e della prima giovinezza, dove, più che la spensieratezza e l'allegria di un'età che si vorrebbe per forza “felice”, a lasciare il segno sono le delusioni, i conflitti, i tanti piccoli passi verso la “perdita dell'innocenza”. Non serve essere cresciuti in un quartiere difficile, non serve aver dovuto fare i conti con una famiglia sgangherata: tutti, se ci confrontiamo con i nostri ricordi, e soprattutto con i modelli e gli esempi che ci sono venuti dalla famiglia, ci addentriamo in una Zona disagio come quella del titolo del libro.

Così anche Jonathan Franzen: e infatti il suo viaggio interiore è scatenato dal ritorno nel quartiere della sua infanzia e adolescenza, quello borghese e residenziale di Webster Grove, tranquillo sobborgo dove qualsiasi famiglia della middle class americana sognerebbe di vivere. Ritorno motivato dalla necessità di mettere in vendita la casa di famiglia, dopo la morte della madre: e appena rimette piede in quelle vecchie stanze, Franzen subito si sente “un conquistatore che bruciava le chiese e fracassava le icone del nemico”.

Chi ha conosciuto Franzen attraverso lo strepitoso romanzo Le correzioni, dove l'autore costruiva il ritratto indimenticabile di una famiglia media americana, rispettabile e disastrata insieme come solo sanno esserlo le famiglie “normali”, ritroverà immediatamente quella critica acuta e allo stesso tempo dolente dei modelli di vita dominanti per una considerevole parte della società. Quella parte di società che ancora oggi si sforza disperatamente di credere in un “sogno americano” e invece si dibatte oggi nell'incertezza, fra la sensazione di un futuro mancato, la minaccia di attacchi portati da nemici sconosciuti, la sconcertante realtà di un'intera metropoli rasa al suolo e abbandonata dopo l'uragano Katrina.

Ma chi conosce Franzen sa che la critica sferzante è sempre accompagnata da uno sguardo carico di comprensione, e di compassione; che l'analisi a volte spietata cede il passo a divagazioni private sull'onda dell'emotività.

E così, fra un lungo capitolo che potremmo intitolare “fenomenologia dei Peanuts” e un altro dedicato ai primi momenti di ribellione adolescenziale; fra un excursus sull'esperienza in una strana congregazione catto-hippy e il racconto dei primi segni di una vocazione letteraria nata insieme all'amore per la lingua tedesca, appresa in un viaggio in Europa; fra le vicissitudini per la vendita della casa e la nascita della passione per il bird-watching, ci accorgiamo che il personaggio-chiave del libro (e della vita dell'autore) è quello della madre, Irene.

A tutta prima, come la Enid Lambert delle Correzioni, Irene pare un personaggio sbiadito, persino sgradevole nel suo aggrapparsi alle convenzioni borghesi e nella sua ossessione per il conservare: la casa, sempre perfetta; e la memoria: i cimeli di famiglia; le fotografie; persino i surgelati.

Ma pur sentendosi distante e in conflitto con tutto ciò che la madre rappresenta, capiamo che Franzen non può non sentire la propria appartenenza a un mondo che, alla fine, gli ha permesso di diventare ciò che è diventato. E c'è sempre dell'affetto, dell'attaccamento, o almeno la consapevolezza che esiste un terreno da cui partono le proprie radici.

Un libro sicuramente molto sofferto, efficace nel tratteggiare l'atmosfera sospesa fra adolescenza e vita adulta, a volte fin troppo minuzioso nell'esplorazione autobiografica (speriamo che per Franzen l'ossessione del bird-watching sia solo una parentesi, e che non ci faccia più subire interminabili elenchi di specie avicole e santuari naturali...), ipercritico con il passato ma anche con il presente: sembra che la vita dell'ormai quasi cinquantenne Franzen non sia del tutto pacificata.
Eppure chi sa che “tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” (così Tolstoj nell'incipit di Anna Karenina), e sa che “le famiglie felici” sono un'invenzione buona per la pubblicità, troverà in questo libro di Franzen una parte di sé.



(29/03/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


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