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LETTERE DA IWO JIMA
TITOLO ORIGINALE: Letters from Iwo Jima
REGIA: Clint Eastwood
CON: Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Shido Nakamura, Tsuyoshi Ihara, Ryo Kase
USA 2006
DURATA: 142 minuti
GENERE: drammatico
VOTO: 9
DATA DI USCITA: 16 febbraio 2007

Giancarlo Simone Destrero

1945. Isola di Iwo Jima, fronte giapponese. La seconda guerra mondiale volge al termine. Il panettiere Saigo è inviato al fronte per difendere l’isola dall’imminente attacco americano. Qui insieme agli altri militari giapponesi sta scavando le trincee per potersi proteggere nei combattimenti. Il morale delle truppe non è dei migliori. La sconfitta è percepita, anche se gli alti ufficiali continuano a credere, non sempre convintamente, nella vittoria finale e a richiedere fedeltà assoluta all’imperatore.

L’attesa della sconfitta. La battaglia incombente ed il punto di vista dei perdenti. Una straordinaria analisi sull’essenza della condizione umana, traversale alle varie nazionalità, e sulle sue inevitabili, ipocrite, particolarità latitudinali. La nostalgia assoluta verso la condizione naturale dell’esistenza, testimoniata dalle passioni ippiche degli alti ufficiali e dal rimorso nei confronti di una cultura spietata e amorale nel suo progresso bellico.

Queste le principali riflessioni dello splendido film di Clint Eastwood, un regista che riesce a migliorarsi continuamente nonostante i settantasei anni e che firma con quest’ultima opera un capolavoro. Il tutto all’interno di una struttura narrativa ferrea ed esaustiva, che tuttavia lascia sapientemente affiorare ed agire allusioni visive. Queste ultime sostanziano artisticamente il film e non lo riducono ad un mero e ripetitivo svolgimento causale di storie individuali. La natura primordiale ed incontaminata dell’isola in cui è ambientata la pellicola è un qualcosa che nessuna umana diatriba belligerante può corrompere e che persiste immutata nonostante gli antropologici accadimenti.

La montagna Suribachi si staglia perentoria, indifferente ai bombardamenti umani, nella prima e nell’ultima inquadratura del film come una meraviglia assoluta dalla quale gli uomini si sono distaccati tragicamente. Le viscere della terra, nel mito della grande caverna che qui viene scavata dai soldati, dentro le quali si vivono terrori ed ansie mistificanti. L’espressiva fotografia di Tom Stern rende l’atmosfera livida ed inquietante, in piena sintonia visiva con i cupi umori dell’umanità filmata. Una gerarchia militare che vive la tragedia della sua ipocrita cultura. Le inevitabili, false costruzioni illusorie che permettono di mascherare le ataviche strutture, connaturate alla condizione umana, della competizione feroce tra individui.




  
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