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SATIRA IN TV. PRENDIAMOLA PER IL VERSO GIUSTO
Piccole riflessioni, certi che una risata non ci seppellirà...


Daniela Mazzoli

Non facciamoci confondere, non lasciamoci ingannare. La satira non è una cosa per buoni, per animi sensibili, per gente che ha paura delle parole, per i deboli di cuore. E nemmeno –manco a dirlo- per chi non ha senso dell’umorismo.

La scorsa settimana – un secolo fa - in una puntata di Matrix discutevano della satira e della sua opportunità ospiti di varia provenienza: un direttore di giornale ‘riformato’, un senatore di Alleanza Nazionale, un regista politically uncorrect, un rappresentante della comunità islamica.

C’erano appena state delle lamentele su trasmissioni televisive in cui comici di talento e stili diversi satireggiavano sul Papa e sue esternazioni, sul segretario personale di Sua Santità e una sua presunta vanagloria. Faceva un po’ impressione constatare con quanta seriosità venivano analizzate le intenzioni e le ipotetiche conseguenze di certe battute.

Il politico puntava tutto sull’identità, sostenendo che senza un’identità forte ci si fa inglobare e confondere da religioni e culture meno vacillanti della nostra. Il regista lamentava la mancanza di coraggio da parte di questi comici vigliacchi, che si sentono forti della propria ironia solo perché il bersaglio è pacifico e tollerante e non va in giro a mettere bombe per strada e sugli autobus… Il giornalista è partito con le idee chiare e poi se le è lasciate confondere nel dubbio di aver preso la parte sbagliata. Persino Mentana passeggiava tra opinioni non eccezionali con piedi di piombo, come se di tutte le sciagure che si sono abbattute e si stanno ancora –ogni giorno- abbattendo sulla nostra povera vita di elettori-telespettatori-consumatori quella della satira in tv fosse davvero la più terribile.

Lo è, in effetti, ma in senso contrario, in quanto – cioè - testimonia tutta la nostra mancanza di argomento e di cultura profonda degli argomenti di cui trattiamo. Così come spesso si sente parlare dell’islamismo, dei suoi divieti, delle sue (per noi) incomprensibili regole senza che qualcuno ci venga a spiegare di cosa stiamo parlando, delle origini della nostra discussione con testi alla mano, ugualmente capita che opinionisti si confrontino sul problema della satira senza avere cognizione della materia.

Bisognerebbe ricordare almeno questo: la satira ha come terreno di riflessione la vita sociale, come punto di vista il paradossale, come ultima conseguenza l’inversione di una tendenza morale. Che cosa rientra, dunque, nella vita sociale di un popolo? Quali sono gli aspetti paradossali dell’esistenza di una comunità? Quale colpa si può imputare a chi stimola un cambiamento etico attraverso l’uso del genere satirico? La satira è come un bambino, innocente, istintivo. Non riconosce l’autorità perché la mette in dubbio e spesso in crisi. Non ha paura del potere perché ne sente tutti i limiti, ne irride le proporzioni. E’ dalla parte dei deboli e senza demagogia, perché ha tra i suoi bersagli prediletti personaggi della vita pubblica che occupano posizioni di rilievo e li svuota di ogni supponenza.

Fa un po’ quello che ogni genitore dovrebbe tentare coi propri figli troppo piccoli quando temono le ombre come fossero mostri: non vuole convincerli che sono solo ombre, ma le ridicolizza fino alle lacrime come fossero innocue. La satira ci tratta come piccoli spaventati, mette a posto le nostre paure, ci solleva dall’insopportabile peso della nostra impotenza.




  
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