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UN INDOVINO MI DISSE
IL REPORTAGE SI FA UOMO

TIZIANO TERZANI

Un anno in giro per l’Asia, riflettendo su ciò che vede e su ciò che prova. Tra parole dirette e una poesia mai leziosa, quasi involontaria, Terzani esplora il suo continente e se stesso, in un modo nuovo. E il punto di vista alternativo è forse il vero protagonista di questo umanissimo reportage.

Stefano Zoja

Al capitolo 16 di uno dei suoi libri più celebri Terzani grida: viva le navi! Lo ripete diverse volte, fondendo insieme l’entusiasmo di un bambino, felice per il sole e il vento in faccia e il beccheggiare dello scafo, e la consapevolezza di un giornalista e pensatore, che gode per le stesse ragioni. Sta bene Terzani qui sul ponte, a leggere un romanzo o ad attaccare una conversazione con uno sconosciuto.

Le navi, si dice, tenderanno a scomparire, il mercato le boccia. Ancora il mercato, al quale non importa se gli uomini quando viaggiano per mare stanno bene. Gli aerei sono vincenti, fanno risparmiare tantissimo tempo. Ma il tempo è qualcosa che si può gustare, che carica o ricarica, a seconda di ciò di cui uno ha bisogno. E’ proprio con il tempo e nel tempo che si fanno le conoscenze, le scoperte, che ci si dedica a ciò che piace. Nel 1993 Terzani, un po’ per gioco, un po’ per scaramanzia, ha scelto di prendersi tanto tempo. In questo libro ci racconta come lo ha vissuto.

Un indovino cinese nel 1976 aveva diffidato Terzani dal volare nel 1993, perché avrebbe corso un grave rischio di morte. In quanto corrispondente asiatico per varie testate europee Terzani ha sempre vissuto sugli aerei, ma al 1993 mancavano ancora tanti anni e lui semplicemente aveva scelto di posticipare il problema.

Alla fine del 1992 gli è tornata alla mente la vecchia profezia, che lui, solido giornalista occidentale, si era sentito fare da uno stregone di Hong Kong. E sceglie di seguirlo quel consiglio, un po’ perché è bello credere a certe cose, un po’ perché in fondo non si sa mai e un po’ perché lo eccita, a cinquantacinque anni, darsi una nuova e insolita prospettiva di vita.

Per inciso, nel marzo del 1993 si schianta un elicottero dell’Onu, che a bordo ospitava ventitré giornalisti, fra i quali un corrispondente tedesco di Der Spiegel, che aveva preso il posto di Terzani. La profezia in un certo senso si avvera, ma non è più questo che conta. Ormai Terzani è partito da tre mesi, gira l’Asia servendosi di taxi, navi e treni. Lui, che per decenni ha vissuto in diversi paesi dell’Asia, ha la possibilità di guardarla con occhio nuovo, di riscoprirla varcando le frontiere a piedi, infilandosi in canoa nei recessi delle foreste.

In questo viaggio lungo un anno Terzani ha la possibilità di interrogare i luoghi e le persone. Arriva a toccare con mano realtà che a volte conosceva solo in modo astratto: ci parla della desolazione occidentalista di Singapore, delle credenze di quei malesi che cercano di curare l’aids con aglio e peperoni, dei treni della speranza che percorrono la Transiberiana. E’ quella stessa Asia che conosceva, in bilico fra tradizione e rincorsa capitalista, ma vista con occhi diversi.

In più in questo viaggio ha la possibilità di interrogare se stesso. Lo fa attraverso le parole degli indovini che consulta quasi a ogni città che visita. Perché continui a interrogarli non lo sa bene nemmeno lui: si mescolano soprattutto gioco e curiosità, e, dietro questa, una porticina interiore lasciata aperta alla superstizione. Ma disamine e profezie degli indovini sono soprattutto materiale col quale nutrire le riflessioni su stesso: le loro risposte diventano le sue domande. Sulla vita, su passato e futuro, sulla società e sulla famiglia, sul lavoro.

In fondo questo libro assomiglia più a un diario che a un reportage, perché ai racconti e alle riflessioni sulla realtà osservata si mescolano quelle sulle proprie esperienze e sensazioni. E’ questo che fa la bellezza di Un indovino mi disse: le vibrazioni personali dell’autore. Un uomo che ha tantissimo da dire e lo fa con una semplicità assoluta. Non c’è retorica né arroganza nelle sue parole, quando suggerisce come e perché secondo lui la società moderna si è ammalata, anzi troviamo una semplicità di linguaggio che corrisponde alla chiarezza di idee.

Ma quanto lavoro ci deve essere stato perché Terzani giungesse a questo. Dalla vita aziendale alla Olivetti, al giornalismo, alle corrispondenze dall’Asia profonda, alle ricerche degli ultimi anni, che hanno portato alcuni a definirlo sbrigativamente un nuovo “santone”. Lo psicanalista James Hillman una volta ha scritto: è incredibile quanta complessità debba precedere la semplicità. Ecco, Terzani quando va per nave prova insieme la gioia del bambino e quella dell’uomo consapevole, che ha vissuto e riflettuto e ora può provare di nuovo emozioni semplici, originarie e sintetizzare i propri pensieri.

Naturalmente Terzani, fosse stato ancora qui, non avrebbe ritenuto di aver concluso alcun percorso; era un uomo umile che manteneva sempre vivo il dubbio. Ma ciò che proprio non gli mancava era l’indipendenza di pensiero. Anche per questo è così coinvolgente farsi raccontare da lui com’è la vita in luoghi lontani e, magari, confrontarla con la nostra per farle prendere un po’ d’aria.



(21/06/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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