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L'ORTO BOTANICO - 100 PAROLE SU - NON SOLO RECENSIONI - GUARIGIONE COME CRESCITA - ANGOLO DELLA PSICOLOGA -DOSSIER-
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La regia è, allo stesso tempo, ricca e sobria. Riesce ad essere funzionale alle tre storie parallele, che si alternano costantemente, ed è sempre sapientemente dosata nei movimenti di macchina, anche in quelli più spettacolari che mettono sotto scacco le protagoniste al cospetto del loro gioco esistenziale. La fotografia, calda e cupa, presagisce il tragico segreto che sarà svelato e che, in gran parte, è la causa dei tormentati tratti psicologici delle tre donne.

L’inferno, secondo il regista, è su questa terra. E la diabolicità della vita può avere inizio anche, e soprattutto nel film, nel contesto apparentemente più rassicurante: quello familiare. Le problematiche delle sorelle, seppur diverse l’una dall’altra, possono essere ricondotte tutte al rapporto con i loro genitori. Celine è sola, e sembra essere una donna che non riesce a stabilire un legame per problemi di timidezza e d’eccessiva riservatezza, non appena incontrerà un uomo, che crede essere innamorato di lei, paleserà tutta la sua aberrazione relazionale con l’altro sesso.

Anne s’innamora di un uomo più anziano di lei, e sembra alla costante ricerca di una figura paterna che possa sopperire all’assenza interiore che la logora. Sophie, all’apice dei suoi problemi matrimoniali, avrà la sensazione di rivivere, in un attimo, quella situazione domestica che l’ha segnata per tutta la vita, invertendo i ruoli e ritrovandosi, adesso, genitore, guarderà i suoi bambini vedendo se stessa in una sorta di eterno ritorno dell’uguale familiare.

Il prologo di L’enfer, è un ottimo esempio registico di come si possa alludere all’antefatto da cui muoverà l’opera sposando il punto di vista della piccola Celine, che rappresenta quello di noi spettatori ancora all’oscuro dell’intera vicenda, la quale, accompagnata dalla madre, si trova davanti a qualcosa che non dovrebbe vedere e subito si ritrova gli occhi coperti dalla mano materna, conseguentemente una dissolvenza sul nero rende noi spettatori, come la protagonista, angosciati ma inconsapevoli di quel che sta realmente accadendo.

Nel complesso un bel film, anche se il nodo fondamentale, il senso di quello che è raccontato, e che avrebbe potuto farne un capolavoro, non viene sciolto. Il regista dice di essere anticattolico, nel senso di non credere ad un inferno e ad un paradiso ultraterreno, ma si allontana anche da qualunque professione di ateismo; infatti, il rimpianto per un mondo arcaico, politeistico, tragico, viene fuori da alcuni dialoghi, basta ascoltare la lezione del professore, di cui Anne s’innamora, contro il razionalismo e l’esame della stessa Anne, sulla tragedia di Medea, contro la modernità che ha dimenticato il divino. Tutto questo non viene affrontato visivamente, rimane solamente detto a parole, ed il film pur se buono come intreccio, si ferma alla risoluzione della vicenda narrativa, senza fare il salto di qualità artistico.



(14/06/2006)


Amare l'arte è benessere

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