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Le voci di Marrakech è un libro contraddistinto da una paradossale densità aerea, che nasce dall'incontro tra lo stile discorsivo tipico dei libri di viaggio e l'unità degli argomenti trattati, che circolarmente ritornano tutti dentro le mura di Marrakech, evidenziando personaggi e situazioni che in alcuni casi sono tipici dell'opera di Canetti.

Non a caso, infatti, il libro si conclude delineando il ritratto di quello che forse è l'ultimo dei tanti mendicanti della città, un mendicante il cui unico segno di vita sembra essere il suono della sua voce, che non riesce neanche a pronunciare il nome del suo Dio.

Questo mendicante nella sua debolezza estrema, nella sua posa inginocchiata che ricorda un fagotto, rappresenta agli occhi di Canetti un simbolo orgoglioso di tutto ciò che si oppone alla grande nemica che per tutta la vita ha cercato di combattere, la morte: "Ero orgoglioso del fagotto perché era vivo. Non saprò mai i suoi pensieri mentre respirava laggiù, sotto le altre persone.

Il senso del suo richiamo mi rimase oscuro come tutta la sua esistenza: ma egli era vivo e ogni giorno, alla sua ora, era là di nuovo.(.)Forse non aveva la lingua per formare la l di "Allah", e il nome di Dio si accorciava per lui in "a-a-a-a-a". Ma era vivo, ed emetteva il suo unico suono con uno zelo e una costanza senza pari, lo emetteva per ore e ore fino a quando, nella piazza immensa, non restava che quest'unico suono, il suono che sopravviveva a tutti gli altri suoni."



(18/12/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

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