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LA LUNA DI CARTA
IL COMMISSARIO MONTALBANO ALL'OPERA

ANDREA CAMILLERI

Il celebre commissario lentamente si sente invecchiare, come già ne La pazienza del ragno, e lascia spazio a malinconiche considerazioni su se stesso e sull’età che avanza, fino a spaventarsi per i primi pensieri sulla propria morte.

Stefano Zoja

La nuova vocazione più intimista non impedisce a Montalbano di restare invischiato nelle trame che due belle “fimmine” gli tessono intorno in quest’indagine. Due donne magnetiche eppure profondamente diverse fra loro: Michela ed Elena, ovvero la sorella e l’ex amante di Angelo Pardo, assassinato con un colpo di pistola in mezzo al volto. La strada per la soluzione del delitto – ad apparente sfondo erotico – sembra passare da queste due donne. Michela è una donna oscura, misteriosa, capace di nascondere molte cose della sua vita, inclusa la sua bellezza. Elena è invece una donna aperta, sensuale e intraprendente, quasi aggressiva nella sua capacità di vivere senza condizionamenti. Montalbano deve districarsi tra la fitta trama che compone l’indagine e la sua tradizionale sensibilità al fascino femminile.

Camilleri si tiene in esercizio con un Montalbano abbastanza classico, pur con qualche elemento innovativo. Lo scorrere del tempo si vede sulle spalle del commissario che, per nulla divertito ma per noi divertente, si interroga sugli effetti dell’Alzheimer e sulla morte. La sua fibra sanguigna è sempre intatta, beninteso, solo appena velata da qualche pensiero malinconico. Il procedere delle vite a Vigàta si intravede anche in altri aspetti, come la paternità di Mimì Augello. Camilleri, ormai prossimo agli ottanta anni, lascia balenare qualche riflessione sul tempo e la vita, all’interno della consueta confezione, intrigante per un verso e quasi umoristica per un altro.

Quello di Montalbano, del resto, è da tempo un marchio doc, come quello di certo vini, che ricorrono periodicamente sulle nostre tavole. Gli ingredienti sono dosati con sapienza e definiscono un immaginario ormai consolidato: la funzione umoristica, ben rappresentata da Catarella, quella tensiva e poliziesca, in mano ad alcuni colleghi di Montalbano e ai contorni del delitto di turno, quella drammatica rilasciata in piccoli tocchi appena percettibili quando serve. E naturalmente c’è la figura di Montalbano che condensa tutti questi aspetti ed è felicemente dotata di un’umanità piacevole ed accattivante oltre che ottimamente tratteggiata.

I “Montalbano” ormai si potrebbero scrivere da sé, attraverso la scrittura automatica, non nel senso espressionista, ma piuttosto in quello del pilota automatico. Ma l’intrattenimento è un (macro)genere, non una colpa, e Camilleri può rivendicare il merito di avere costruito, senza cedimenti becero-televisivi, uno dei più riusciti mondi immaginari della letteratura di largo consumo degli ultimi decenni.




  
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