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DIGITALE TERRESTRE: LA TELEVISIONE RIPENSATA?
Sta arrivando anche qui, se ne parla ancora poco, ma sempre di più: è la tv digitale terrestre. Cosa è e perché sarà una rivolzione.


Stefano Zoja

Si può demonizzare la televisione, ma bisognerebbe lasciare in pace il televisore. Esattamente come si può adorare un dipinto, ma non ha senso osannare il pennello. Dietro questi esiti c’è inevitabilmente l’uomo e dietro l’uomo un’estetica, un mercato, un pubblico. Quando si parla di digitale terrestre – e per ora lo fanno in pochi – forse si dovrebbe iniziare da qui. Dalla neutralità etica della tecnologia. Dunque, senza fideismi aziendalistici o livori anti-global, dal concedere al neonato interattivo la presunzione d’innocenza. Il digitale terrestre non ha colpe né meriti; nel caso un giorno ce la vorremo prendere con qualcuno sarà meglio scegliere gli uomini: oltre che più appagante, è più utile.

Cos’è e cosa consente, allora, questa tecnologia? Perché c’è chi parla di rivoluzione? La differenza di base con la televisione odierna sta nel segnale di trasmissione: questo viaggerà sempre attraverso l’etere, ma la sua codifica, anziché analogica, sarà digitale, cioè realizzata tramite il codice binario. Riassumiamo le principali conseguenze di questa novità.

Aumento dell’offerta televisiva. Il digitale terrestre consentirà, attraverso sistemi di compressione del segnale, di far viaggiare da quattro a dieci volte più canali televisivi di quelli odierni nello stesso spettro di frequenze. Potremmo arrivare ad avere alcune decine di canali nazionali, oltre a un numero assai più ridotto dell’attuale di televisioni locali, aventi una linea editoriale di maggiore interesse o di utilità pubblica. I canali generalisti come li conosciamo oggi continuerebbero probabilmente a esistere, per la loro funzione di “piazza” mediatica difficilmente sostituibile. Ma sarebbero affiancati da una quantità di nuove reti dai target più circoscritti e dai contenuti specifici. Canali ambientalisti, televisioni dedicate ai documentari, o all’arte, o ai viaggi, reti televisive di cartoni animati o di cucina, tv straniere. Il digitale terrestre è un paniere vuoto e piuttosto capiente che attende di essere riempito. Teoricamente anche quella parolaccia che è il “pluralismo” potrebbe trovare una sostanza: c’è spazio per tante nuove voci, auguriamoci che non tutte diranno le stesse cose.

Interattività. Patate da divano. Gli americani chiamano così (“couch potato”) quegli individui che succhiano televisione come fosse coca cola in una flebo. Ne ingurgitano litri, non mettono quasi filtri. Un caso sociale, che esiste anche da noi. L’interattività è un grimaldello che nei sogni di alcuni studiosi o addetti ai lavori può almeno sollevare la schiena della patata dallo schienale del divano. Al di là di questo l’interattività può significare nuove opzioni, nuovi stimoli per l’utente “normale” e ancor più per quello curioso. Stiamo vedendo un documentario sulla barriera corallina e ci interessa una scheda di approfondimento su un certo pesce? Basterà premere un paio di pulsanti sul telecomando. Allo stesso modo potremo influire sull’andamento di un confronto politico, sul percorso concettuale di un talk show, magari scegliere il finale di un film… Sarà possibile anche semplicemente giocare in diretta a un game show, richiamare un filmato di backstage, votare un personaggio che ci piace. Avremo la possibilità di acquistare oggetti via tv con un paio di clic. Il linguaggio della tv muterà almeno in parte, il panorama dei generi potrebbe essere ridisegnato. E l’interattività non avrà ricadute solo a livello contenutistico, ma anche su tempi e modi della fruizione. Potremo creare palinsesti personalizzati sulla base dei nostri gusti, selezionare i programmi che desideriamo all’orario che ci è comodo, saltare le pubblicità, rispondere a una telefonata e far riprendere la trasmissione esattamente da dove l’avevamo lasciata…




  
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