FAHRENHEIT 451
UN CAPOLAVORO SEMPRE ATTUALE

RAY BRADBURY

Un libro sulla distruzione dei libri, che racconta un mondo in cui i pompieri appiccano gli incendi.

di Stefano Zoja
“Bruciamo tutto, bruciamo ogni cosa! Il fuoco è luce e soprattutto è purificazione”. Il fuoco elimina, sterilizza. Il fuoco divora i microbi, evita la contaminazione, il contagio. Scaccia il pericolo, lasciando al posto del fumo che sale e si dissolve. E poi il fuoco è spettacolare, inebriante. Le fiamme vibrano e si divorano ciò che contengono. Con una forza e un calore che ti avvampano le tempie, mentre lo guardi. E’ bello da impazzire, il fuoco.

Montag vive in una società ipnotizzata dal fuoco. Una società del futuro – il nostro – nella quale si bruciano i libri. Tutti e sistematicamente. I pompieri in questa società servono ad appiccare gli incendi, per eliminare ciò che non va. Devono bruciare i libri, appunto. E’ questo un mondo in cui gente per strada quasi non se ne vede, perché sono tutti dentro casa imbambolati da televisori grandi quanto le pareti. I martiri sono quelli che si lasciano bruciare dentro le loro biblioteche clandestine. I cani hanno otto zampe, sono di metallo e la loro proboscide culmina in un ago iniettato di procaina. Montag dentro questa società pare starci bene. Quando indossa la sua divisa di pompiere e appicca i roghi ghigna. Poi smette la divisa e nella calma della sera torna a casa tranquillo, qualche volta fischiettando. Tutto normale, senza domande. Perché di domande in questa società non ce ne si fa. Solo che Montag una notte incontrerà una ragazza strana, curiosa e impertinente.

Ray Bradbury è un visionario che gioca col fuoco, i libri e la storia. Uno scrittore al quale non si deve opporre resistenza. La sua fantascienza non è forse la più attendibile e coerente. Ma andare a caccia di ingenuità e incoerenze con uno come lui sarebbe ingiusto e miope. Prima ci si lascia abbagliare dalle sue visioni e affascinare dalle immagini, più bello è. Bisogna lasciare le briglie sciolte e seguirlo dentro un romanzo suggestivo come pochi e, in certe pagine, dentro la poesia. Che tanto poi, davanti a un romanzo così non si corre il rischio di non pensare. Si tratta solo di alternare coinvolgimento e pensiero senza forzature. Ammesso che siano sempre alternativi.

Ma poi un visionario non può essere lucido? Non può avere una sua lucidità? In certe idee Bradbury è sorprendente. In un’altra vita (forse in una futura) doveva essere un mass-mediologo, se ha intuito – nel 1951! – certe cose sulla televisione. In quegli anni la tv era nata da poco ed era poco o nulla diffusa anche negli Stati Uniti. Bradbury ne intravede da subito l’invadenza materiale e culturale, il condizionamento mentale degli individui (dal sapore “apocalittico”), la tendenza a creare un clima di familiarità con lo spettatore, le potenzialità interattive. E riveste tutto questo di romanzo.


Ma questo, più di ogni altra cosa, è un racconto sul valore dei libri: 451 gradi Fahrenheit è la temperatura di autocombustione della carta. Ed è ciò che succede a una civiltà che rifiuta i libri: si brucia da sé, si condanna. Rifiutando il pensiero, la memoria, il dibattito, preferisce l’insensibilità e l’inerzia. Pensare può far scaturire delle emozioni, di qualsiasi genere. E in quell’epoca non lo vuole nessuno. Non lo vuole il potere costituito, per paura di dover fronteggiare il dissenso, ma non lo vuole più neanche il popolo, ormai alienato. Pensare, mettere in discussione se stessi e la realtà può portare alla scoperta che c’è un errore da qualche parte: troppo doloroso, troppo faticoso. Meglio una vita protetta, confinata, e un tantino vegetale. Non importa che sia illusoria – prima di tutto con se stessi – tanto non ce ne si rende conto.

E’ questo il gioco: possiamo permetterci di non pensare perché tanto, siccome non pensiamo più, non ci accorgiamo di quanto è stupido e triste non pensare. E il rogo dei libri – cioè dei pensieri e delle emozioni – è eletto a sistema, arrivando in qualche modo a includere e concludere – del resto siamo in un futuro “semplicemente” immaginato – i roghi avvenuti nella storia, la cui matrice era sostanzialmente ideologica e calata dall’alto. Qui, ormai, praticamente nessuno si rende più conto di nulla.

“Bruciamo tutto, bruciamo ogni cosa! Il fuoco è luce e soprattutto è purificazione” diceva dunque il capitano dei pompieri. A chi è tentato di pensare che “tanto alla fine è fantascienza” bisognerà ricordare non solo i roghi di libri del nazismo, ma anche quelli in Bosnia dei primi anni novanta o quelli dei romanzi di Harry Potter messi in piedi da alcuni preti del Midwest americano.

Bradbury mette in scena la paura di tutto questo. E ci parla della fecondità, della vitalità e della bellezza delle contaminazioni. Fantasie e pensieri che stanno nei libri. Forse la lettura ideale che potrebbe seguire “Fahrenheit 451” sarebbe “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino. Soprattutto all’inizio. Quando ci invita ad accomodarci su una poltrona morbida – o su un pouf o un letto, dove vogliamo –, a distendere le gambe, o a metterci come ci pare, purché comodi. Poi a prendere il libro, rigirarlo un po’, annusarne l’odore delle pagine nuove, sfogliandolo con delicatezza. E infine, chiuso il mondo fuori per un po’, a immergerci.


(27/08/2007)