LA GRANDE MADRE DEL MONDO LATINO
Crescere nel ruolo di figli e di genitori comporta le medesime difficoltà verso la ricerca di un equilibrio fondamentale.
di Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e Psicoterapeuta della Gestalt

I tuoi figli non sono figli tuoi
sono i figli e le figlie della vita stessa
Tu li metti al mondo
ma non li crei
Sono vicini a te ma non sono cosa tua
Puoi dar loro tutto il tuo amore ma non le tue idee
Puoi offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime
esse abitano la casa del domani
dove a te non è dato entrare neppure in sogno…


Questa citazione, tratta da una composizione di Kahlil Gibran e che è stata lo slogan della Carta dei diritti per l’infanzia stipulata nel 1989, a mio avviso descrive abbastanza chiaramente quanto non accade nelle culture latine come la nostra.
Ancora oggi, infatti, nella nostra cultura i genitori, e soprattutto le madri, rimangono i punti di riferimento e anche di condizionamento più importanti per i figli.

Tagliare simbolicamente il cordone ombelicale rappresenta per molte persone un grosso problema, anche in una fase della vita in cui si dovrebbe “masticare” la piena maturità, camminare nel mondo con le proprie gambe, comprendere il senso della responsabilità personale, avere la capacità di fare scelte per la propria vita partendo da ciò che si vuole realmente.

Mi rendo conto che non è semplice indirizzare le energie principalmente sulla propria realizzazione personale, spesso molti elementi della vita quotidiana remano infatti in direzione opposta.
Questi elementi, a mio avviso, si possono sintetizzare in un’unica parola profonda come una voragine: condizionamenti.
Il condizionamento “madre” deriva, quasi sempre, dall’avere radicato dentro di sé l’archetipo, il simbolo della madre che accoglie a braccia aperte, che protegge, che non abbandonerebbe mai i propri figli anche se tutto il resto del mondo scomparisse.


Questo archetipo è così profondo che influenza anche quelle relazioni genitoriali che hanno le basi per costruire altre modalità di relazione…in quei casi c’è l’AMBIENTE pronto a condizionare.
Tutto sommato questa forte influenza potrebbe essere serenamente consapevolizzata e gestita se questo manto protettivo materno non fosse accompagnato da aspettative di controllo e riconoscimento da parte della madre.

Riprendendo la poesia citata all’inizio, quanti di noi, sia nel ruolo di figli che di genitori, si possono riconoscere in quella condizione di libertà?
Quanti genitori sono disposti a pensare alla propria prole come creatura della vita stessa, e quanti figli sono disposti ad agire, quindi a “rimboccarsi le maniche”, per andare verso dove si vuole andare (alla Totò!), senza la necessità di pensare allo scontro o all’abdicazione silenziosa come sole e antitetiche modalità di relazione per ottenere riconoscimento?


Come spesso accade, è più facile ritrovarsi a vivere situazioni estreme piuttosto che quelle di equilibrio, in cui le estremità stesse si incontrano, trasformate, a metà strada.
Nell’ambito delle relazioni genitori-figli, è più facile trovare individui che, per effetto di profonde deprivazioni affettive, di cure e di legami soprattutto materni, si difendono sviluppando vere e proprie psicopatologie che permettono loro di vivere in un mondo “alternativo”; oppure, si incontrano individui che per effetto delle attenzioni soffocanti e spesso ansiogene da parte dei genitori abbracciano il fallimento come “destino” della propria vita perché qualsiasi movimento in avanti implicherebbe probabilmente lo smarrimento e la perdita di equilibrio da parte dei genitori stessi.

Questi sono solo due esempi di una scala di relazioni che può presentare vari squilibri in diversi gradini.
Recentemente, due ricercatrici italiane del Cnr e una francese del Cnrs (Anna Moles, Francesca D’Amato e Brigitte Kieffer) hanno scoperto che nella creazione del legame di attaccamento fra madre e neonato, il cosiddetto “bonding”, giocano un ruolo importante gli oppiacei endogeni. Si tratta di molecole prodotte naturalmente dall’organismo, che fungono da analgesici naturali, alleviano lo stress e rinforzano i comportamenti adattivi, come quello di attaccamento del neonato alla madre, indispensabile per garantire la sopravvivenza di un esserino che non ha ancora capacità di autonomia psicofisica.

Questo legame di attaccamento rientra nella categoria delle relazioni sane. Dall’adolescenza in poi, però, risulta difficile accettare che il neonato ormai cresciutello abbia bisogno di un tale attaccamento per vivere, semmai il prolungarsi di relazioni di dipendenza, simbiotiche, porta l’individuo a “sopravvivere”, riducendo all’essenziale le proprie funzioni di crescita, piuttosto che a vivere pienamente a cuore e torace aperto!

Perché non chiedersi allora, sia nel ruolo di figli che di genitori, a cosa e a chi serve mantenere il cordone ombelicale ancora in funzione, e anche cosa accadrebbe se questo cordone si recidesse?
Nel neonato, il taglio materiale del cordone segna l’inizio alla sua vita separata rispetto alla madre, alla danza del suo respiro vitale che non è più quello della madre che ha sentito per ben nove mesi.

Da lì comincia la scoperta dei propri ritmi e del mondo, coi propri occhi. E inizia al tempo stesso il viaggio verso l’autonomia e l’indipendenza da tutti i “cordoni” e i “legami” che limitano e ostacolano il pieno sviluppo della propria personalità.

Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
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(23/03/2007)