INDECISION. PER CHI VUOLE VOLERE
BENJAMIN KUNKEL

La coinvolgente storia di un vecchio ragazzo degli anni duemila, il newyorkese Dwight, un tipo indeciso a tutto. Un successo di critica e pubblico, la storia di una formazione ritardata e improbabile, che ricorda da vicino la nostra.

di Stefano Zoja
Alzi la mano chi non vi si riconosce. Dwight Wilmerding, 28 anni, newyorkese nato bene, indeciso di fronte a qualsiasi prospettiva, da quella professionale, alle ordinazioni al ristorante. Una bella testa, laurea in filosofia, e un lavoro al centralino di un colosso farmaceutico. Una bella ragazza, Vaneetha, e la paura di legarsi, con gli inevitabili sensi di colpa. Un appartamento in condivisione con tre amici improbabili, uno dei quali lo metterà a conoscenza dell’Abulinix, uno psicofarmaco di nuova concezione che dovrebbe curare l’indecisione cronica. Molto utile a chi, come lui, prende le decisioni tirando a testa o croce.

Magari non torneranno tutti i dettagli, magari non abbiamo mai provato l’Abulinix, ma le vicende generali ci riguardano, indubbiamente. Impigliato com’è in uno spietato strascico tardo-adolescenziale, Dwight concentra tutti i tratti principali del giovane maschio medio di inizi duemila: piuttosto brillante, piuttosto insicuro, del tutto contraddittorio, narcisista e, naturalmente, schiacciato dalla società postmoderna.

E come ogni newyorkese, anche Dwight era in un certo luogo a fare una qualche cosa nel momento in cui, l’11 settembre 2001, i due Boeing dirottati si schiantarono contro le Torri Gemelle. Per la precisione stava cercando di riprendersi dall’orgiastica serata precedente, e di smaltire i postumi dell’ecstasy.

Una vita scombinata dentro un mondo illeggibile e ingordo, racchiusa in un perfetto romanzo di formazione. Le qualità intermittenti o inespresse di Dwight somigliano alle nostre, che, nel bene e nel male, siamo sempre capaci di concederci un’autoironica assoluzione.

Sarebbe lecito chiedersi, di fronte a un lavoro simile, se ci sia stata furbizia da parte di Kunkel. Chiaramente lo scrittore conosce almeno quanto il suo personaggio, che un po’ gli somiglia, l’arte di piacere. Ma senz’altro si è anche divertito a scrivere un romanzo simile, infarcito di scene ridicole o surreali. E la furbizia, più che nello stile, sta proprio nell’avere intercettato le idiosincrasie dei lettori, a cavallo fra immedesimazione effettiva e identificazione desiderabile. Dwight è simpatico, pasticcione, moderatamente mascalzone, potenzialmente brillante; è sì abulico, ma perché il mondo non lo valorizza: al netto delle drammatizzazioni narrative non può non assomigliarci.

Il finale è positivo, solare, allucinato, ma è a rischio. Dopo avere giocato con ironico nichilismo sul filo della vita reale, Kunkel approda a una conclusione stralunata e conciliatoria, in cui l’amore, come è ovvio, ha una parte fondamentale. Anche per questo Indecision è un romanzo catartico come pochi. Perché dopo l’affresco, appena manierato, che racconta i giovani degli ultimi dieci anni, propone anche la risalita. Più che a una formazione, questo romanzo approda a una speranza.

In suo favore si sono scomodati nomi come Fernanda Pivano e McInerney. Per capire qual è il ruolo che compete a Indecision nella storia della letteratura americana recente, bisognerà aspettare che passi la confusione di quest’epoca e di noi lettori. I classici impiegano un po’ a diventare tali. Chissà cosa penserebbe il giovane Holden, incontrando il giovane Dwight.


(21/12/2006)