TUTTI AL MARE. VENT'ANNI FA, UN'ESTATE
MICHELE SERRA

Un viaggio semiserio nell’Italia estiva del 1985. Il diario-reportage di un giovane Michele Serra, che racconta migrazioni e appostamenti di una specie infestante: il villeggiante.

di Stefano Zoja
Un vecchio libretto spunta dallo scaffale, vent’anni dopo la sua pubblicazione e chissà quanti dopo l’acquisto. E’ ormai ingiallito il bordo esterno delle pagine, fatte di quella carta porosa che negli ultimi anni non si è usata più. E’ un breve viaggio, umoristico e giornalistico insieme, nell’Italia vacanziera della metà degli anni ottanta.

Andò così: Michele Serra, allora giovane e poco noto cronista dalla penna creativa, prese una Fiat Panda, partì da Ventimiglia e arrivò a Trieste. Ma anziché tracciare una linea retta attraverso la Pianura Padana, costeggiò l’Italia intera, discendendola lungo il Tirreno fino a Reggio Calabria, per poi risalire dall’Adriatico. Durante l’intero agosto 1985, Serra si fermò in paesi e cittadine di villeggiatura, per scrutare da vicino gli Italiani (e gli stranieri) alle prese col rito liberatorio e conformista della vacanza. Dall’iniziale reportage per l’Unità si arrivò a questo libro.

Gli intellettuali di Capalbio, la cementificazione selvaggia della Calabria, l’Acquasplash di Lignano Sabbiadoro: poco meno di trenta tappe dentro un’Italia che si diverte a modo suo. Accalcati, annoiati, rissosi, ma talvolta generosi e brillanti sono i villeggianti che Serra incontrava nel paese che il boom prima e l’austerity poi avevano reso moderatamente godereccio.

Il bestiario vacanziero passava dagli scempi architettonici, alle urla incessanti dei bagnanti di Vieste (e pensare quanto sarebbe bello il Gargano!), dalle guide semiufficiali e semipreparate, agli autoproclamatisi parcheggiatori. Per fortuna esistono le Cinque Terre, poco contaminate perché parco nazionale (e area protetta Unesco), ma soprattutto perché morfologicamente inospitali per automobili e cemento. O le pensioncine tradizionali della Calabria jonica, allora troppo fuori rotta per la massa dei turisti. Esempi isolati: l’Italia che all’estero tutti invidiavano era recintata in oasi e messa sotto assedio.

Perfettamente inserito nel solco di quella cultura nostrana che guarda all’italiano medio e, raccontandolo, scuote affettuosamente la testa, Serra si cimenta con un giornalismo letterario piuttosto originale, soprattutto all’epoca, che sembra figlio di Alberto Sordi o della commedia all’italiana più che del rigore del reportage. Era Michele Serra già allora: con uno sguardo soggettivo, coinvolgente e schierato, col gusto della battuta paradossale a disinnescare la potenziale serietà delle osservazioni.

E come oggi, già allora in Serra l’ironia si scioglieva in malinconia. Quell’Italia unta di abbronzante, già nascondeva la bellezza dei luoghi e delle persone dietro le costruzioni e le frenesie dell’industria vacanziera. Si sorride, certo, leggendo com’eravamo vent’anni fa. Ma quello che era allora, lo ritroviamo simile oggi, semplicemente incarognito da un tempo trascorso senza scosse. Qualche edificio nuovo a sporcare le coste, che, a volerlo vedere, sarebbero il vero patrimonio della nostra industria turistica. L’insofferenza esibita del casellante che dà il resto al guidatore di un suv, spazientito lui pure perché non gli funziona il telepass. Qualche spiaggia libera in meno e qualche acquascooter in più.

Poco di nuovo e poco di meglio vent’anni dopo. E gli Italiani che, per disamore o per forza, in vacanza ci vanno sempre di meno. Meglio riderci su.


(01/04/2006)