I VICERE'
TITOLO ORIGINALE: I Vicerè REGIA: Roberto Faenza CON: Alessandro Preziosi, Lando Buzzanca, Cristiana Capotondi, Guido Caprino, Lucia Bosè, Franco Branciaroli, Assumpta Serna, Sebastiano Lo Monaco ITALIA 2007 DURATA: 120 minuti GENERE: storico VOTO: 6,5 DATA DI USCITA: 09/11/2007
di Giancarlo Simone Destrero
Catania, 1853. Ultimi anni del dominio borbonico prima dell’unità d’Italia. Alla morte della principessa Teresa Uzeda, tutti i membri della famiglia, discendenti dei viceré di Spagna, si riuniscono per spartirsi avidamente l’eredità e dare vita ai contrasti personali che li caratterizzano. Il giovane Consalvo, assillato da un padre dispotico, ci racconta la storia in prima persona, attraverso la sua crescita ed il suo avanzare nelle gerarchie famigliari e sociali.

Una lunga epopea famigliare che, evidenziando le ciniche relazioni interpersonali tra consanguinei, vuole mostrare come il generale menefreghismo civico, di collettività sociale, italiano –che oggi è solamente lo sviluppo secolare del sentimento che già caratterizzava lo stato italiano nei primi anni del novecento- sia il frutto di un insieme di particolarismi spietatamente esclusivi e di casta.

Il risultato di un lungimirante ed equilibrato adattamento a dei cambiamenti formali, di facciata -evidentemente connaturati ai ricorsi storici- a beneficio di una sostanziale fissità strutturale delle dinamiche di potere. Il mascheramento dell’annoso patriziato oligarchico che chiama libertà e democrazia la sua capacità di fingersi in egualitaria unità con l’ammansita plebe.

Questo il movente scatenante le riprese dell’ultimo film di Roberto Faenza. Immagini che prendono liberamente spunto dal romanzo verista di Federico De Roberto. Uno dei capolavori della letteratura italiana di fine ottocento. Di recente, il film è stato escluso dal concorso della festa del cinema di Roma. Tutto ciò ha creato l’oggetto della controversia tra i suoi detrattori, che attribuiscono quella esclusione a deficienze artistiche, e i sostenitori del film, primo fra tutti il regista, che sostengono vi sia stata una sorta di censura nei confronti di quest’opera, in quanto trasposizione filmica di un romanzo tuttora troppo scomodo. Questa volta, dopo aver fatto parlare esclusivamente la pellicola, è proprio il caso di dire In media virtus.

Come spesso capita al cinema di Faenza, il risultato non riesce a trascendere l’accurata ricostruzione storica e le suggestive atmosfere che la splendida fotografia e certi sontuosi movimenti della macchina da presa riescono a creare. Le varie componenti sono strutturalmente bel amalgamate, ma non riescono a dare quella sovratestuale omogeneità artistica che sancisce la differenza qualitativa tra un prodotto di mestiere ed un capolavoro.

Tutto ciò è più che intuitivo se si pensa alla trasposizione filmica di un’opera come Il Gattopardo, per esempio -romanzo che ha molti aspetti in comune con I vicerè- e la si confronta con questa; se si prende in considerazione, soprattutto, l’utilizzo della dimensione spazio-temporale che riesce, nel caso di Visconti, a trascendere la limitatezza temporale delle vicende narrate. Ma una cosa è il confronto artistico con uno dei più grandi registi italiani, altro è la sottovalutazione dell’opera al cospetto della contingente mediocrità italiana.

Attualmente Faenza riesce comunque ad essere uno dei pochi registi nostrani a fare un cinema con un certo respiro internazionale, almeno per buona parte dei suoi momenti filmici. Tutto ciò non è cosa da poco. Per quello che riguarda, invece, la presunta scomodità del testo –che tratta esplicitamente le storture e i vizi del carattere italico, che hanno fatto l’Italia- la realizzazione visiva non rende piena giustizia all’intelligenza delle pagine di De Roberto, ed il tutto si riduce ad una reiterata didascalia, soggetta a dei facili slogan qualunquistici e compiacenti, di volta in volta messi in bocca ai vari personaggi del film. Basti pensare alla differenza dell’arco temporale in cui si conclude la vicenda.

Il romanzo di De Roberto ha termine nel 1882 durante le prime elezioni a suffragio allargato, mentre Faenza dilata ridondantemente la storia, portando il trasformismo e l’arrivismo di Consalvo, il protagonista della storia, fino alla prima riunione del parlamento italiano a Montecitorio nel 1918. Insomma tutto un po’ troppo forzato, sopratutto i dialoghi, a dimostrare quello che appare evidente da subito e che, con più ambiguità, sarebbe potuto andare al cuore delle cose. Una nota di merito per alcune interpretazioni. Su tutte, quella di Lando Buzzanca negli odiosi panni del principe Giacomo Uzeda, il Pater Familias; anche quella di un bello televisivo come Alessandro Preziosi, che interpreta Consalvo, risulta tuttaltro che insipida.


(22/11/2007)