WE WILL MEET AGAIN SOME SUNNY DAY
DEDICATO A IPPOLITO PIZZETTI

Un addio e al tempo stesso un omaggio al grande giardinofilo Ippolito Pizzetti, che ha lasciato questo mondo a ferragosto.
di Pietro Bruni
A ferragosto è morto Ippolito Pizzetti, uno dei più famosi giardinofili italiani, il mio preferito, per il poco che possa contare.

La sua lunga vita se l’è vissuta, e la maggior parte delle cose che poteva dare le ha date o almeno ha potuto farlo. Non è certo quindi con senso di rimpianto, quello che circonda le morti precoci, che ci accostiamo alla sua dipartita. Nessuno spreco. Nessuna opportunità svanita.

Eppure la sua morte mi ha molto addolorato. Non lo conoscevo. Non l’ho neppure mai visto in carne ed ossa, solo in Tv, ma a malapena ne rammento la voce. Ciononostante è riuscito a rattristarmi molto. Lui, vecchio stizzoso, non c’è più.
Milanese, romano d’adozione, era figlio di un musicista dall’altisonantissimo nome di Ildebrando. Dopo studi classici, la sua passione per le piante diventò il suo lavoro. Fece giardini e soprattutto (grazie a Dio) scrisse molto sull’argomento lasciando a noialtri la possibilità di leggere i suoi favolosi e poetici libri.

Nella vita studiò come un demonio. La sua cultura immensa, svettante, aleggia e penetra tutti i suoi scritti, lascia l’impressione di qualcosa di mostruoso: tedesco, inglese, francese, musica, letteratura, botanica, entomologia, chimica. E tutto a livelli incredibilmente alti. Qualcos’altro però pervade i suoi scritti, qualcosa di ancor più importante della cultura: la passione. Una passione smisurata, non solo per le piante e non sempre positiva. Anzi, molte volte la sua passione confluiva in fierissime incazzature contro questo o quest’altro. Me lo vedo lì in poltrona con un gatto in braccio: a un certo punto l’adrenalina diventa troppa, incontenibile nei canali ad essa preposti ed esonda, la faccia diventa rossa, le vene si gonfiano e la voce si rompe, strozzata in una furiosa invettiva…

Va bene, magari non succedeva proprio così, ma leggendo i suoi libri non posso fare a meno di fantasticare sui suoi accessi di collera domestici e in più mi piace pensarlo un po’ così. Forse perché vedere la gente infuriata è sempre un po’ divertente (chiaro, se non ce l’ha con te): eccita il lato sadico che ognuno culla nella bambagia del proprio subconscio. Poi, e questo è molto ma molto più importante, perché tira fuori come una persona è davvero, quello che ha dentro, i suoi gusti, in quanto tali opinabili ma almeno qualcosa di genuino e sentito, coraggiosamente esposto al mondo.

In questa maniera Pizzetti ha sperimentato un nuovo modo romantico di parlare di piante: basta con i freddi resoconti sulle caratteristiche principali della specie, ma grande spazio ad antipatie e simpatie per questa o quella. Grande.

Ma adesso era vecchio Ippolito e dalle foto più recenti sembrava piuttosto male in arnese: debole e ancor più vecchio dei suoi 81 anni. C’è una foto in particolare che mi ha colpito, sembra una premiazione, e Pizzetti ha stampata in faccia un’ espressione purtroppo frequente nei volti avvizziti dei vecchi: il sorriso strambo e cadente di chi sembra vergognarsi della propria debolezza.

Che tristezza vedere il forte Ippolito, Dio del tuono, figlio di Ildebrando, debole così. Ed è per questo che farò a pezzetti quella brutta foto, io, caro Ippolito, ti ricorderò com’eri nei tuoi giorni verdi, quando sgridavi i lettori che osavano porre la domanda sbagliata o ingiuriavi i clienti che rovinavano il Tuo giardino con il loro gusto discutibile, quand’eri feroce mastino a guardia del bello.


(26/10/2007)