IL COSTO UMANO DELLA FLESSIBILITA’. LAVORO, MERCATO E SOSTENIBILITA’
LUCIANO GALLINO

La mappa non è il territorio, si dice giustamente. Ma il lavoro flessibile è un territorio nuovo, complesso e scarsamente esplorato. E questo saggio ne è una mappa tascabile e attendibile.

di Stefano Zoja
“Si possono definire flessibili, in prima approssimazione, i lavori che richiedono alla persona di adattare ripetutamente l’organizzazione della propria esistenza – nell’arco della vita, dell’anno, sovente perfino del mese o della settimana – alle esigenze mutevoli della o delle organizzazioni produttive che la occupano, private o pubbliche che siano”.

E’ una definizione realistica e insieme un punto di vista, semplice eppure infrequente nel discorso pubblico. E’ la stessa prospettiva sancita nel titolo, cioè di considerare il lavoro flessibile per le implicazioni che ha nella vita e nelle emozioni di chi lo esercita, anziché secondo la visuale economicistica che ha sequestrato il dibattito pubblico e politico. Gli uomini politici, le imprese e persino i sindacati tardano ancora ad adottare questa prospettiva nella propria cultura e, tanto più, nell’azione.

Gallino viene solitamente presentato o come un attendibile sociologo con valide idee di sinistra, o come un partigiano dell’ideologia antiglobalizzazione, colpevole peraltro di varie imprecisioni, talmente fazioso da essersi ormai squalificato. Dopo 87 pagine (scritte grandi) appare molto più consona la prima versione del Gallino-pensiero che, anzi, sorprende quasi per una certa, timida attitudine, tutta accademica, a evitare gli eccessi ideologici e a prevenire le controargomentazioni.

Grazie a questo e alla mole di dati che cita, Gallino può permettersi di dire parole chiare. Come quando giudica le premesse del lavoro flessibile, quelle esplicite e quelle sottaciute. Si dice che la flessibilità del costo del lavoro (cioè più tostapane prodotti, più dipendenti; meno tostapane, meno dipendenti, in funzione della domanda) sia una necessità per riuscire a competere nell’inedita aggressività del mercato globalizzato. E si dice che la flessibilità aumenti l’occupazione. Gallino accetta la prima premessa come un brutale dato di fatto e rigetta in gran parte la seconda, portando obiezioni statistiche e di sostanza.

Poi c’è quel che non si dice. Per esempio che il diritto del lavoro, complessa conquista democratica partita in Italia dopo il 1945, è oggi vissuto come un fastidioso limite alla competizione sui mercati. Oppure che la diffusione del lavoro flessibile induce la disgregazione delle forme associative e delle relazioni fra lavoratori. O ancora che questo sistema favorisce la deresponsabilizzazione delle imprese, che possono permettersi di competere grazie a semplici tagli del personale, anziché innovando o pianificando strategie di mercato più articolate ed efficaci. Sistema che, va da sé, indebolisce nel lungo periodo l’impresa stessa.

Non sono altro che le verità semplici e scomode che i dirigenti conoscono e i giornali quasi mai dicono. Gallino prosegue e spiega, di fronte alle richieste di ulteriore flessibilità, che l’Italia è da tempo seguita all’estero come interessante esempio di un mercato del lavoro molto aperto. Nonostante certe pressioni, siamo già più flessibili di molti nostri partner europei. E continua con una breve disamina delle varie tipologie di lavoro esistenti, considerando delle une e delle altre le prospettive in questo genere di mercato.

Poi, brevemente, si trova la parte umana di questo studio, la pratica quotidiana oltre la teoria, l’esperienza che molti fanno. E cioè la rievocazione, mai patetica, dei casi di chi ha turni di notte e magari viene convocato con sole 24 ore di preavviso; di chi a quarant’anni è tagliato fuori; di chi posticipa e posticipa la maternità nel tentativo di costruirsi una carriera in un lavoro senza tutele; di chi avanza a vista tra lavori eterogenei, non consequenziali né per i contenuti, né per i compensi, né per la continuità. Niente ideologia, ma i costi concreti e psicologici che molti sperimentano.

Nelle conclusioni Gallino propone alcuni punti semplici: rievoca le gilde medievali come modello di un nuovo luogo d’incontro di chi svolge lavori omogenei; propone un sistema di certificazione istituzionale delle nuove identità professionali trasversali; sostiene la valorizzazione dei luoghi di lavoro; suggerisce la rivisitazione delle leggi sul lavoro flessibile. Al fondo c’è l’esigenza che la flessibilità lavorativa non si trasformi in precarietà esistenziale. Non c’è traccia di oltranzismi.

“Il lavoro flessibile può non piacere, […] ma è qui per restare a lungo”. Ovvero, i modelli organizzativi e le tecnologie circolanti rendono del tutto improbabile un ritorno del lavoro tradizionale. Dunque contro (o dentro) il lavoro flessibile non si fa la rivoluzione, ma le riforme. E la battaglia per migliorare la condizione precaria non deve oscurarne un’altra altrettanto importante, contro il lavoro nero: per salvare i precari si invocano modifiche ai regolamenti, ma nel sommerso nemmeno esistono i regolamenti. E ancora: i nostalgici delle garanzie del diritto del lavoro non scordino le gabbie (temporali, organizzative, salariali) che questo comportava: non esiste il buon tempo antico e nella flessibilità non tutto è male.

Per amore di verità e complessità Gallino propone queste e altre considerazioni, come quando ricorda Adriano Olivetti, industriale illuminato dell’Italia del boom. Questi, come già suo padre Camillo, considerava “la disoccupazione involontaria dei lavoratori una condizione iniqua”. Quando gli fu suggerito di licenziare 500 operai e ridurre la produzione per superare una crisi, Olivetti “licenziò o trasferì parecchi dirigenti, assunse 700 venditori, ribassò i prezzi delle macchine e lanciò l’azienda in un nuovo ciclo di sviluppo”. Erano gli stessi anni in cui si costruiva l’idea del diritto del lavoro.

Oggi non è mutato solo lo scenario del mercato, ma siamo immersi in un economicismo ossessivo. La cultura profonda da allora è cambiata tanto e forse è solo in questo senso, e non nelle argomentazioni, che il libro di Gallino può essere ritenuto trasgressivo.


(28/09/2006)