LA SCOMPARSA DEI FATTI
...PER NON DISTURBARE LE OPINIONI

MARCO TRAVAGLIO

Sostiene Marco Travaglio: più che all’estero e più di quanto sia tollerabile in una democrazia, il nostro giornalismo ha sostituito la realtà con le opinioni. Una melassa informativa che confonde e sterilizza l’opinione pubblica.

di Stefano Zoja
Ci sono Verità e verità. In Italia, spesso, circolano le prime a discapito delle seconde. Le prime sono ideologiche o di comodo, ma prevalgono perché sono urlate e onnipresenti. Sui giornali, sul web, ancor più in televisione, e poi nei discorsi della gente. Le seconde sono i fatti, i numeri, i testi originali, al netto degli accomodamenti di parte. Ma godono di poco seguito perché sono di ostacolo alle prime.

L’Italia in cui i fatti sono scomparsi è il paese dei collateralismi e delle collusioni, delle menzogne e delle macchinazioni. Cose che la vulgata ha sempre sostenuto senza mai preoccuparsene davvero. Questo libro invece ci accompagna dentro i malesseri della nostra democrazia, viaggio che si vorrebbe evitare, come quelle cure radicali che tocca fare quando un malanno è stato trascurato per troppo tempo.

L’Italia nel rapporto 2006 di Freedom House sulla libertà d’informazione occupa il 79° posto, in compagnia del Botswana. E’ l’unico dei paesi europei, assieme alla Turchia, a rientrare nel novero delle nazioni in cui l’informazione è “parzialmente libera”. Il libro di Travaglio spiega con ironia, passione e soprattutto dati precisi perché questo accade. E la ragione essenziale è la rinuncia del nostro giornalismo alla sorveglianza del potere.

Fra le premesse, Travaglio include un commovente articolo di Indro Montanelli, inviato a Budapest durante la rivoluzione del 1956. La lettura di questo pezzo, che scardina tutte le versioni di comodo che all’epoca circolavano sui “Fatti d’Ungheria”, ricorda, al di là di ogni polemica sulla sua figura, cosa rendeva il Montanelli conservatore un giornalista esemplare. E ancor più convoca a un confronto imbarazzante la meschinità di molto giornalismo contemporaneo.

Per non mancare di fede alle sue stesse tesi, Travaglio dal capitolo uno comincia a snocciolare, quasi con petulanza, una quantità di dati e testimonianze che surrogano le sue idee. Devono parlare i fatti. E allora ecco le ricostruzioni degli interventi militari in Iraq e Afghanistan, della querelle ancora oggi non conclusa sull’irregolarità del voto dello scorso anno, di Tangentopoli e del revisionismo che l’ha seguita, di Calciopoli, delle intercettazioni sulle scalate alle banche, dei processi e delle sentenze a carico di politici, finanzieri e giornalisti. Di questi e altri casi di scuola si serve per raccontare le tecniche con cui ogni giorno i nostri quotidiani e telegiornali ci somministrano un’informazione filtrata.

Trasferiamoci per poco in un paese di fantasia. Supponiamo che sia accaduto che Pippo ha rubato a Topolino una mela. Ed è un dato di fatto: Topolino aveva una mela e un giorno non l’ha avuta più perché Pippo gliela ha sottratta senza averne il permesso. Se questo fatto fosse acclarato ne discenderebbero diverse conseguenze, per esempio potremmo chiamare Pippo “ladro” e Topolino “vittima”, magari Pippo finirebbe in carcere, e su questi e altri aspetti si potrebbero aprire dei dibattiti (per esempio su quale sia la giusta pena, su un eventuale risarcimento, eccetera).


Ora, esistono diverse tecniche con cui una realtà viene distorta o nascosta in Italia. Una delle più semplici è parlare d’altro, come capita in alcuni telegiornali o “approfondimenti” televisivi di seconda serata. Anziché raccontare il furto di Pippo, ad esempio, quella sera si parla dell’esodo estivo o di Vallettopoli. Un’alternativa è presentarlo in modo parziale: Topolino non trova più una mela, oppure Pippo mangia una mela di ignota provenienza. O spostare il dibattito su un aspetto periferico di una realtà troppo scomoda (perché le mele sono così appetitose?). O presentare un fatto mettendolo a confronto con un’opinione su quel fatto, pretendendo, in nome di una malintesa par condicio, di incoraggiare un dibattito equo (un esperto spiega che Pippo ha rubato la mela, un altro ribatte che in realtà Topolino gliel’aveva prestata. Chi ha ragione?).
Si possono anche intervistare a ripetizione Topolino e Pippo, o i loro vari amici: ciascuno dirà la sua, l’importante è non soffermarsi sul fatto. E la sostanzialità degli eventi si perde.

Travaglio usa uno stile inquisitorio ma spesso ironico, per spiegare la malattia del nostro sistema informativo, che è, al fondo, il collateralismo fra il giornalismo e i vari poteri, non solo politici. Una lettura scorrevole, coinvolgente e, come si dice, utile.

Naturalmente il primo rischio che corre Travaglio è quello della sua identificazione con una parte politica precisa. Lungo la lettura vengono chiamati in causa personaggi di ogni area, anche se alcune figure “tradizionali” emergono più spesso. Forse è nei fatti che questo accada, forse no: anche una presa di posizione su questo è molto legata ai precondizionamenti, alle opinioni già consolidate, all’ideologia. Mentre la sfida di Travaglio, fin dalla stesura del testo, è proprio questa: uscire dalle logiche di parte, sotto le quali, documenti alla mano, esistono ancora degli eventi reali su cui confrontarsi.


(23/07/2007)