ANIMALI E CULTURA UMANA. IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI?
Siamo alle solite: animali impiegati per il piacere degli uomini. Non si tratta del circo, nemmeno dello zoo o di un parco nazionale. Siamo in Thailandia e gli elefanti suonano in un’orchestra.
di Azzurra De Paola
In Thailandia, a Lampang, il Thai Elephant Conservation Center ha iniziato una nuova campagna per raccogliere fondi che incrementino gli aiuti per ripopolare gli elefanti del posto: da quattordicimila che se ne contavano fino agli anni Cinquanta, adesso rimangono poco più che trecento esemplari. Gli elefanti thailandesi, più “domestici” dei cugini africani, sono stati da sempre impiegati nei lavori di trasporto, fatto che, insieme al bracconaggio, ha fatto sì che siano stati decimati in pochi anni; questo centro sta cercando di riportare un equilibrio demografico nella specie e, considerato che la gravidanza di un elefante dura circa ventidue mesi e vede la nascita di massimo due cuccioli, l’operazione sarà piuttosto lunga.

Ed ecco l’espediente utilizzato per trovare fondi per l’associazione: dieci elefanti, il più giovane di quattro anni ed il più vecchio di diciotto, addestrati a suonare strumenti a corde, a fiato e a percussioni, adattati alle loro dimensioni; ci sono strumenti come tamburi, piatti, gong, flauti di canna, il “lowboy” (una specie di cembalo), l’angalung (un grande balafon), delle campane e il renat (una specie di xilofono). Gli animali sono addestrati ad “ascoltare” i suoni e, benché sia risaputo come l’elefante sia uno degli animali più intelligenti – capace addirittura di riconoscersi allo specchio –, resta da chiedersi come facciano a seguire le note, impresa che le persone cosiddette stonate riconosceranno come difficile.
Il disco, suonato e registrato rigorosamente dal vivo, è diviso in tre sezioni: una prima parte suonata esclusivamente dagli elefanti, una seconda da elefanti e uomini ed una terza parte con la “Pastorale” di Beethoven, suonato con grande precisione.

I dieci elefanti – Phong, Mae Kot, Aet, Jo Jo, Chapati, Prajuab, Prathida, Luuk Khang, Tao e Wanalee – sono addirittura entrati a far parte di un’orchestra, la Thai Elephant Orchestra appunto, e hanno inciso un disco di dodici brani intitolato Elephant Rapsody i cui incassi saranno devoluti in beneficenza per il ripopolamento della specie stessa. L’intento è nobile e ha un che di lodevole, non c’è dubbio, ma il dilemma è etico: possibile che l’unico sistema escogitato dai due ideatori della campagna, Dave Soldier e Richard Liar, per salvare gli elefanti dall’estinzione sia l’impiego coatto degli elefanti stessi? Sembra, a dirla tutta, una contraddizione in termini, e benché sia facile supporre, perlomeno all’inizio, una curiosità del pubblico verso quest’iniziativa si pongono due categorie di problemi: il primo, lo sfruttamento – ennesimo – di animali (in via d’estinzione, per di più), seppure a fin di bene; il secondo, ma non meno importante, è l’imitazione: credete che nessuno vorrà ripetere l’esperimento, magari con i cetacei, le cui doti “canore” ci sono già note?

Il dilemma che si pone è tutt’altro che trascurabile – e se lo sono già posto precedenti illustri come Machiavelli: il fine giustifica i mezzi?. Nelle questioni etiche, ogni risposta affrettata, netta, indiscussa, è tendenzialmente approssimativa e pecca di superficialità. Può succedere, di fronte ad un dubbio amletico come questo, di non saper cosa preferire. Meglio il male minore? Oppure, gli ideali devono superare lo stato delle cose?


(18/07/2007)