SECOND LIFE. UN MODO DI VIVERE ALTERNATIVO?
In questi ultimi periodi si parla molto di Second Life, il mondo virtuale che è stato creato su internet da un gruppo di imprenditori americani, con risvolti di business alquanto concreti. Proviamo ad immaginare da cosa può essere dettata la scelta di viverci, da parte di persone non direttamente o primariamente interessate all’investimento economico. Quali risvolti psicologici si possono considerare?
di Dott. Maria Rosa Greco. Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
Molte persone amano fare sogni ad occhi aperti o vivere in realtà parallele per sfuggire alle grinfie della vita quotidiana, spesso considerata noiosa, piatta o comunque troppo stressante e non sempre piacevole.

Second Life è una di quelle realtà che ha una vita propria e che per molti sta diventando il luogo in cui realizzare i propri sogni.
Per capire fino in fondo cosa accade, in termini di coinvolgimento personale, in chi vi entra, mi sono costruita anch’io una mia identità all’interno di questo mondo.

Fa senz’altro un effetto particolare la registrazione delle proprie generalità…della propria identità. Qualcuno aveva commentato in un quotidiano che si tratta di una seconda nascita: nuovo nome e cognome, scelta del sesso di appartenenza, scelta del proprio corpo e dell’età, scelta, quindi, della propria immagine…

In effetti è così: una nascita che parte dalla scelta consapevole di chi si vuol essere.
E questo può risultare terapeutico per chi si sente imprigionato in ruoli, in continui doveri, a cominciare dall’identificarsi con un nome che finalmente è scelto (penso sia capitato anche a voi di sentire dire a qualche vostro conoscente che il suo nome non gli piace e non è appropriato per lui).

In psicoterapia, infatti, mi capita di utilizzare i cosiddetti giochi di ruolo per permettere al paziente di esprimere sue parti meno esplorate di sé le sue modalità di relazione meno abituali.

E’ necessario, comunque, mantenere la consapevolezza che si tratta di ruoli indossati, o di vite parallele costruite per degli scopi. Nel senso che è da considerare la presenza del rischio di vedersi pian piano identificati totalmente in ciò che non si è quotidianamente, aumentando il divario tra sogno e realtà; di considerare sempre più reale la seconda vita, sfocando sempre più ciò che si è e che accade nella vita quotidiana.

Ottimo strumento, invece, potrebbe diventare per avvicinare il proprio sogno alla realtà circostante. Chiedendosi ad esempio cosa si può fare e integrare l’esperienza, o trasformarla, attraverso le proprie capacità personali, in modo che quella realtà parallela venga vissuta anche nella vita ordinaria.

Spesso, quando ci si imbatte in qualcosa di nuovo, abbiamo la tendenza (difensiva) di considerarla aliena. Il rischio è, come si dice in gergo, di buttare il bambino con l’acqua sporca, ossia negare tutto, o al contrario salvare tutto. Anche io, come essere umano e come terapeuta, avevo accolto la nascita del fenomeno “Second Life” con l’atteggiamento critico che, purtroppo, ha bloccato inizialmente la mia curiosità.

Mi ero detta che poteva essere un modo per perdere il contatto con il proprio mondo fatto di attimi vissuti intensamente, di emozioni, di tensioni, di piaceri o di problemi.
Fortunatamente, però, ci ho riflettuto e sono andata a curiosare…così sono riuscita a buttare solo l’acqua sporca...

Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
e-mail: greco.mariarosa@libero.it
tel. 338/7255800



(13/04/2007)