L'INVENZIONE DELLA POESIA. LE NORTON LECTURES DI BORGES
JORGE LUIS BORGES

Le Norton Lectures del grande scrittore argentino che si presentò al suo pubblico di studenti affermando di non essere venuto a fornire loro delle risposte sulla letteratura, ma a condividere delle domande su di essa.

di Gianluca Traini
"Sono prossimo ai settant'anni, ho dedicato la maggior parte della mia vita alla letteratura e posso offrirvi solo dubbi." Con questa affermazione di sconcertante onestà si chiude il primo capoverso del libro di Jorge Luis Borges “L'invenzione della poesia”. Curato da Calin-Andrei Mihailescu e tradotto in italiano da Vittoria Martinetto e da Angelo Morino.

“L'invenzione della poesia”, edito da poco negli Oscar Mondadori, raccoglie le sei lezioni sulla letteratura che il grande scrittore argentino tenne a Harvard nel1967. A differenza di altre celebri Norton Lectures, come le incompiute “Lezioni americane” di Italo Calvino o le “Sei passeggiate nei boschi narrativi” di Umberto Eco, le lezioni di Borges hanno un carattere più informale, dovuto al fatto che vennero tenute a braccio, senza l'aiuto o la consultazione di minuziosi appunti preparatori, che tra l'altro Borges, ormai quasi completamente cieco, non avrebbe neanche potuto utilizzare.

Questa particolarità fa aleggiare nelle lezioni americane dello scrittore di Buenos Aires quel singolare piacere della conversazione letteraria che era tipico delle sue conferenze pubbliche.

Ma, a differenza di altre occasioni, e di altri libri di conversazioni già tradotti in italiano, come, per esempio, le “Sette conversazioni” con Borges di Fernando Sorrentino, qui l’autore è meno brusco e a suo modo settario nei suoi giudizi letterari, forse perché, più che parlare male dei libri e degli autori che considerava sopravvalutati, si dilunga a mostrare, prendendo spunto anche dall'ingannevole semplicità di un paio di versi, le sottili e nascoste meraviglie delle poesie che più aveva amato e che portava con sé nella sua memoria come un talismano segreto.

Così, sia che parli dell'uso della metafora, sia che si riferisca all'epica o affronti il problema della traduzione in poesia, lo fa sempre richiamando all'orecchio dell'uditorio il suono di alcuni versi indimenticabili, alla fantasia visiva di chi lo ascolta la durevole genialità di alcune immagini della tradizione letteraria.

E per Borges, per un uomo che sospettò la religione e la filosofia essere due rami della letteratura fantastica, tradizione letteraria voleva dire spaziare da Omero al taoismo, da Platone all'epica nordica, dalla Bibbia a Omar Kayam, e, in definitiva, trovare una dose di verità nella celebre affermazione di George Bernard Shaw, che definì Platone il drammaturgo che inventò Socrate, "così come i quattro evangelisti furono i drammaturghi che inventarono Gesù."


(24/08/2006)