SANTI NO ICONOCLASTA1970
Nel bel mezzo della rassegna teatrale Ubu Settete è andato in scena il fastidiosissimo e intelligentissimo lavoro di antidrammaturgia, antiregia e antinterpretazione di Flavio Sciolè.
di Claudia Pecoraro
Teatro “off”? Teatro d’avanguardia? Teatro anticonformista? L’anticonformismo è diventato così conformista che per riuscire a trovare vie alternative, spesso gli “artisti” si mettono alla ricerca di strade tortuose e provocatorie a tutti i costi, alla ricerca di quello che non è mai stato fatto prima da nessun altro ecc. ecc. Risultato: provocazione fine a sé stessa, nessuna emozione.

Nel teatro di Flavio Sciolè, invece, tutto questo non accade. Sarà perché parte da una conoscenza profonda del teatro stesso, e da una ricerca lucidissima sulla sua “grammatica”, per destrutturarlo completamente. Risultato: un anti-teatro (Sciolè fa precedere “anti-” a un buon terzo del suo vocabolario) che, paradossalmente, diventa teatro purissimo.

L’autore-attore-regista, trentaseienne abruzzese (lavora in teatro da più di dieci anni, ha partecipato a festival nazionali ed internazionali; vincitore di numerosi premi per le sue poesie, i suoi cortometraggi, film e documentari; giornalista; autore radiofonico; organizzatore/direttore artistico di eventi musicali) se ne sta in ginocchio vestito da prete/sant(in)o per circa un’ora tra croci, rosari, segnali stradali, oggetti comuni e inquietanti, sacri e profani.

E in ginocchio costruisce, o forse dovremmo dire “de-costruisce”, il suo personaggio. Povero matto invasato, ossessionato, esaltato, posseduto, tormentato. L’impressione è che sia stato portato a queste condizioni estreme da un “eccesso di fede” («Non c’è religione senza perversione»- ripete).

Il suo delirio, con barlumi di lucidità agghiacciante, procede insieme ad un antiteatrale immobilismo (l’azione scenica è quasi annullata), mentre la parola si sgretola, si disarticola. La struttura drammaturgica è assente («La drammaturgia non è casa mia»). Le frasi si frammentano, e acquistano un senso proprio nel momento stesso in cui lo perdono.

Indugia nell’errore, nell’inceppatura, nelle dimenticanze: dove in teatro ti dicono di continuare (“anche se hai sbagliato vai avanti”) io mi fermo e nell'errore resto, perché nessuno è perfetto, tutti sbagliano – spiega Flavio. Ripetizioni e giochi di parole diventano ritornelli assillanti («Io sono il miracolo euc-artistico»).

La recitazione inceppata, la voce muta, l'uso improprio delle corde vocali (ad esempio lo strozzarsi ed obbligare la voce ad uscire comunque) sono frutto di una sperimentazione e una ricerca attenta sulla propria vocalità.

Certo, questo potrebbe sembrare un teatro presuntuoso e arrogante. Ambizioso lo è di sicuro. Ma quando si avvicina il rischio di prendersi troppo sul serio, Sciolè dà avvio a una battuta demenziale che smorza ogni superbia. La sua stralunata identificazione con “Sua Santità” suona talmente ridicola che il pubblico non frena le risate.

Il vero fastidio serpeggia tra il pubblico (le signore, comprensibilmente urtate da cotanta irriverenza, si alzano e se ne vanno) quando nella finzione-realtà Flavio minaccia il suicidio con lame, lamette e cocci di piatti in frantumi. Sempre relazionandomi alle situazioni più estreme-vere, quello che cerco è sempre la purezza, la beltà del dover creare che spesso coincidono con un suicidio artistico obbligato – sottolinea – La distruzione come atto finale-sacrificale è una delle mie principali cifre espressive. In ogni distruzione, in quanto atto, c'è una creazione.

Il pubblico più giovane rimane, forse spinto da curiosità morbosa (come andrà a finire?) o forse ipnotizzato da questo personaggio iconoclasta e dal suo singolare manifesto di audace e stimolante teatro/anti-teatro.


sANTI NO iconoclasta1970
Teatro Ateo
Autore e interprete: Flavio Sciolè

12 novembre 2006
Rialtosantambrogio, via Sant’Ambrogio 4, Roma
Rassegna Ubu Settete. Fiera di alterità teatrali. Quinta edizione (7-15 novembre 2006)
Info: ubusettete@yahoo.it ; info@rialtosantambrogio.org


(16/11/2006)