VERITA' A DISTANZA
IN BALIA DI REALTA' VIRTUALI

Siamo astuti manipolatori del reale, o vittime di balletti alfanumerici? Ecco come e con quali mezzi, ci raccontiamo oggi la verità.
di Claudia Bruno
Abbiamo trascorso secoli raccontandoci a voce la verità, millenni a tracciarla su supporti più o meno agevoli. Oggi, socialmente incastrati tra oralità e scrittura, non parliamo mai soltanto e scriviamo poco. Almeno nel senso tradizionale dei termini. Ma allora come ce le raccontiamo, le nostre verità?

Come. Né parlando, né scrivendo e basta. La scelta non sta nell’alternativa tra una di queste due forme, ma nel sorgere di una terza dimensione comunicativa. Progettare al cellulare le prossime vacanze estive, battibeccare via mail con i colleghi di lavoro, confermare con un sms che stasera ci saremo anche noi. Non è parlato, perché non siamo nello stesso luogo dell’interlocutore. Non è scritto, perché con l’interlocutore condividiamo i tempi.
Alcuni linguisti parlerebbero di “trasmesso”, perché si tratta di conversazioni simultanee dove i partecipanti allo scambio comunicativo sono distanti. Bisognerebbe poi distinguere il trasmesso scritto da quello parlato, perché stare a telefono non è scrivere un’e-mail.

Oltre le classificazioni teoriche, comunque, resta il fatto che mentre cambiano i modi di comunicarci verità o bugie, cambia anche la nostra percezione della realtà. Il display diventa quasi una finestra, l’angolo di mondo su cui proiettiamo la maggior parte delle aspettative, spettro rivelatore di verità che attendiamo con ansia tra lo scorrere dei bit. Verità e realtà, spesso adottate come sinonimi, si scontrano allora in una nuova dimensione: il virtuale.

Virtuale perché possiamo dialogare con l’altro in una presenza-assenza. Presenti nel tempo e assenti nello spazio. Per farla breve, siamo sempre insieme ma non ci guardiamo mai negli occhi. Niente male per disinibire verità nascoste, o raccontare un sacco di favole. Dell’interazione verbale classica, infatti, manca la faccia! Quella, per telefono o via posta elettronica non ce la mettiamo e di conseguenza è anche più difficile perderla.

Pronto caro, dove sei? Dice lei, dal telefono d’ufficio. Sono al parco a fare jogging, ti richiamo. Risponde lui rincorrendo affannato una pseudo-vamp in mini e tacchi a spillo. Il cellulare sembra aver rubato al nostro cane il ruolo di migliore amico: ci segue ovunque e non dice mai dove siamo.

Sulle distorte verità raccontate in chat poi, se ne sono dette tante. Identità camuffate, cambiamenti di genere, aumenti o diminuzioni d’età, leggende su misure e prestazioni. Eppure, oggi molti preferiscono chiacchierare on line anche con amici e conoscenti reali. Forse per dirsi cose che tra le stesse mura non riuscirebbero a confessare, forse perché il mezzo stimola il pettegolezzo senza i costi sociali che normalmente quest’ultimo comporterebbe.

E così, dopo le storie a distanza ecco le verità a distanza, talmente sottili da infilarsi ovunque. Ma non bastava scrivere una lettera con carta e penna? No. Troppo impegnativo, troppa responsabilità nei confronti delle verità asserite. Al posto della faccia, preferiamo le emoticons. E poi la volatilità della scrittura digitale, è un’altra delle tentazioni che fagocitano le nostre affermazioni sul mondo.

Eppure questa è l’era della registrazione per eccellenza, dove tutti i dati sono archiviati e niente si dissolve nel nulla. Per la posta elettronica c’è il server administrator, in chat c’è l’operatore di canale, persino i nostri sms sono decodificati da un server prima dello smistamento ai destinatari. Piccole verità quotidiane minuziosamente catalogate nel caotico ordine di immensi data base.

Questa è la nostra realtà quotidiana, la virtualizzazione delle nostre azioni non era mai stata più verosimile.
Allora reale e virtuale non si escludono più in congelate dicotomie, ma quasi ridono nel prendersi gioco del nostro attendere presunte verità dall’altra parte del display. E noi, bestie in balia di un balletto alfanumerico, ci lasciamo segnare da ciò che non si tocca.


(19/05/2006)