L'ORTENSIA: IMMORTALE E CAMALEONTICA
Nome scientifico: Hydrangea Nome comune: Ortensia Famiglia: Saxifragaceae Esposizione: Semi ombra, Ombra Aspetto: Arbusto o Rampicante Origine: Stati Uniti, Giappone, Cina Epoca di fioritura: Estate – Inizio autunno
di Pietro Bruni
Questo venerdì parleremo di una pianta che quasi tutti odiano: l’ortensia, Hydrangea per i colti. Questa poveretta sta veramente antipatica a tutti i suoi possessori, i quali, per farle espiare chissà quale oscuro crimine di cui l’infame si è macchiata, la relegano negli anfratti più miserabili del giardino o del terrazzo. Pochi giorni fa, un padrone dal cuore tenero mi ha raccontato, a bassa voce, che per tutta l’estate scorsa non ha bagnato la sua ortensia con il segreto desiderio che schiattasse.

Ovviamente il suo tentativo è fallito: lo sfacciatissimo arbusto sta meglio di prima. Ma si sa, le piante fanno sempre l’ opposto di quello che si vorrebbe da loro. E questa è una tendenza su cui sarebbe bello soffermarsi a pensare: perché le piante che amiamo, e che curiamo con una dedizione morbosa, muoiono, mentre quelle che odiamo, e che vessiamo con dispetti e angherie, si ostinano a vivere? Mah, ci penseremo un’altra volta. Intanto, tornando alla nostra bistrattata ortensia, cerchiamo di esplorare le radici dell’odio.

Credo che la ragione principale di tale avversione sia l’enorme diffusione dell’Hydrangea macrophylla, questa è l’ortensia classica, chi pensa a un ortensia pensa a quella. Ed è vero, la sua smoderata diffusione in Italia ha qualcosa di perverso, non esiste cortile senza qualche esemplare raggrinzito di H. macrophylla. Quindi insomma, è normale che sia venuta a noia ai più. Seconda ragione, più sottile, a cui si faceva cenno prima, è la sua resistenza a tutto. Non muore mai. Magari diventa brutta come la fame, ma valorosamente continua a vivere negli stenti. Questa è una cosa che molta gente non tollera: non sopporta di avere una pianta così spudoratamente poco dipendente dalle nostre attenzioni.

Detto ciò, ora inizia l’arringa difensiva. Per prima cosa di Ortensie ne esistono un’infinità, non c’è solo la macrophylla, se si usasse un po’ di più la fantasia si scoprirebbe che con il solo genere Hydrangea, utilizzato in un buon numero di sue specie facilmente reperibili, si potrebbe popolare un intero giardino senza che questo risulti monotono. Secondo, le doti di resistenza non vanno disprezzate, è vero, qui è solo questione di gusti: c’è chi preferisce l’indipendenza del gatto e dell’ortensia, e chi preferisce la dedizione richiesta dal cane e dall’orchidea. E, the last but not the least, l’ortensia fiorisce e prospera allegramente nell’ombra totale. Pensate, può vivere tutta la sua lunga vita senza mai aver visto il sole.
Riflettendoci potrebbe essere questa sua predisposizione alle tenebre a rendercela così sgradevole.

La prima Hydrangea fu introdotta in Inghilterra all’inizio del ‘700. Veniva dal Nord America e non ebbe grande fortuna. Per vederla sulla cresta dell’onda, da dove non è più scesa fino ai giorni nostri, dobbiamo aspettare la fine dell’800, quando in Europa furono introdotte le specie asiatiche, che, in quei tempi, ebbero un appeal irresistibile.

Il nome Hydrangea non viene, come sarebbe lecito supporre, dalla sua proverbiale capacità di prosciugare quantità spaventose d’acqua ( si vocifera che in estate possa arrivare a bere 20 litri al giorno ), bensì dalla forma delle sue capsule seminali così simili (!) a contenitori per l’acqua.

Il genere Hydrangea comprende sia arbusti che rampicanti. Sia specie sempreverdi che specie a foglia caduca. Ha una fioritura lunghissima che inizia in estate e si prolunga fino all’autunno. La cosa veramente affascinante delle ortensie è che cambiano il colore dei fiori al variare dell’acidità del terreno.

Davvero una strana particolarità: in terreni acidi i fiori diventano blu, in terreni alcalini diventano rosa. Un vero e proprio camaleonte del regno vegetale. I grandi botanici della seconda metà dell’800 però presero un po’ troppo sul serio la divertente similitudine tra ortensie e camaleonti: pensavano sinceramente che il colore fosse in relazione al colore dell’oggetto a cui il fiore stava accanto. L’ampio uso dell’assenzio che si faceva proprio in quegli anni potrebbe spiegare la loro propensione a questo tipo di teorie estrose.


(25/06/2007)