FILOSOFIA E TEMPO: UNA QUESTIONE LUNGA PIU' DI 25 SECOLI
La storia della filosofia ci mostra la grande rilevanza che i filosofi hanno sempre accordato al tema del tempo. In particolare, si possono distinguere due posizioni paradigmatiche: quella risalente a Parmenide, per la quale il tempo è solo un’illusione, e quella di Eraclito, per la quale solo attraverso il mutamento possiamo capire il modo.
di Silvia Malavasi
La filosofia ha sempre ritenuto il tempo uno dei più grandi ed intricati misteri davanti ai quali il pensiero umano si stupisce e si interroga. Riguardo a cosa sia il tempo S. Agostino afferma: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domanda non lo so più” ed effettivamente sembra che la comprensione del tempo sia qualcosa di talmente radicato nella nostra cultura e nella nostra più interna coscienza che, nella sua descrizione in termini espliciti, il tempo appare sfuggente e ingannevole. La storia del pensiero filosofico riguardo al tempo è quindi costellata di grandi diatribe, di opposti schieramenti, di problemi antichi che, in attesa di una soluzione, aspettano in agguato il momento giusto per riproporsi. In particolare, fu nella Grecia del V secolo a.c. che la storia dei ragionamenti sul tempo prese una piega caratteristica che, anche oggi, contraddistingue i più accesi dibattiti al riguardo.


Si dice che tutta la storia della filosofia possa essere riletta a partire dal famoso contrasto fra Parmenide ed Eraclito, fra le filosofie dell’essere e quelle del divenire. Ma in che senso l’essere si contrappone al divenire? E cosa c’entra questo col tempo? Vediamo di capire cosa volevano dire questi due grandi pensatori e come essi siano i portavoce di due maniere molto diverse di vedere il mondo.



Chi era Parmenide? Non sappiamo molto di questo criptico pensatore né della sua opera filosofica, vuoi per il suo essere un greco del V secolo a.c., vuoi perché decise di scrivere il suo lavoro in versi, vuoi perché di questi versi solo 154 sono riusciti ad arrivare fino a noi, ma nell’antica Grecia, e non solo, le dottrine di Parmenide e dei suoi seguaci fecero davvero scalpore: chi non conosce infatti i paradossi di Zenone secondo i quali Achille non raggiungerà mai la tartaruga e la freccia in volo lungo la sua traiettoria è in realtà ferma? Tutta farina del sacco dei parmenidei che si divertivano a mettere in crisi il senso comune affermando che il tempo, semplicemente, non esiste, e che quello che vediamo (il movimento delle cose, il nascere ed il crescere degli organismi, il cambiare delle stagioni) non è altro che una mera illusione.



“L’essere è, il non-essere non è”: questa la pietra dello scandalo che Parmenide stesso lancia dal suo poema “Sulla natura” (Perì Physeos), nel quale si afferma che, se ragioniamo sul mondo con i soli occhi della ragione, dobbiamo arrivare alla conclusione che ciò che è non può che continuare ad esistere immutato per sempre, e quindi che l’esistenza di un qualsiasi tipo di cambiamento, sia nella posizione, o nella forma, o nell’esistere o non esistere di un dato oggetto, sia impossibile. “L’essere è, il non-essere non è”: come essere in disaccordo con questa affermazione che sembra a prima vista banalmente vera? Eppure se accettiamo che l’”essere” parmenideo (to eon), ovvero la sostanza ultima che compone tutte le cose, la “pasta” di cui è fatto l’universo, non possa “non-essere”, escludiamo che, ad esempio, un seme possa far nascere un fiore, poiché il seme, che “è” seme, diventando fiore “non-sarebbe” più seme e quindi avremmo una contraddizione. Naturalmente Parmenide ritiene che gli occhi della logica siano i soli con i quali possiamo vedere la verità e che quindi i nostri occhi materiali, le nostre sensazioni ci ingannino. E’ certamente un punto di vista che stride con la realtà alla quale siamo abituati, ma come negare validità alla logica, dalla quale dipende la verità di tutti i nostri ragionamenti? Da una parte, quindi, abbiamo la “filosofia dell’essere” per la quale il tempo non esiste, ma che logicamente non fa una piega.




Di altra opinione era invece Eraclito, dal cui pensiero è derivato il famoso “Tutto scorre” (Panta rhei), il quale sostiene che siano proprio le contraddizioni, le coppie di elementi contrari, a generare l’energia per la quale il mondo si è creato e va avanti, il motore universale. L’universo di Eraclito, armonico e dinamico, è un flusso perenne di mutamenti regolati da leggi ferree, un unico insieme che si regge proprio in virtù della lotta fra gli opposti elementi che lo compongono. La verità che Parmenide cercava nella logica dell’essere, viene trovata dagli eraclitei nello studio dei principi contrari che lottano fra di loro, e secondo questi filosofi, non c’è alcuna contraddizione in agguato: semplicemente guardando la stessa cosa sotto aspetti diversi si può anche affermare che abbia caratteristiche contrastanti. Insomma, è il linguaggio che crea “la magia”, e nulla ci vieta di ritenere vero ciò che i nostri sensi ci raccontano, compreso il tempo, che, se non si nega la possibilità del mutamento delle cose, ritorna ad avere il ruolo che spontaneamente ci sembra che debba avere. Certo è che, però, ad alcuni filosofi il dubbio che con il panta rei non si risolvessero tutti i problemi sollevati da Parmenide è venuto. E allora è stata facile la nascita delle scuole scettiche con tutto quello che hanno comportato.



Come abbiamo visto, Parmenide ed Eraclito sono gli opposti campioni della lotta sull’esistenza del tempo, e, in generale, della lotta fra un modo intellettualistico ed uno empirico di conoscere il mondo.



Tornando ai giorni nostri, sembra sorprendente il fatto che, dopo più di 2500 anni di filosofi che, idealmente, se le sono date di santa ragione sul tema dell’esistenza del tempo, la questione non sia chiusa, ma sia anzi più viva che mai. Lo zampino questa volta ce l’ha messo la fisica, con la sua teoria della relatività, dalla quale possiamo ricavare la conclusione che ciò che io ritengo il presente, l’”adesso”, non sia qualcosa di assoluto, di fisso, che tutti possono condividere, ma sia dipendente dalla velocità alla quale mi muovo. Facciamo un esempio: Mario, che si muove ad una certa velocità, ritiene che l’evento “il sasso ha colpito il vetro e l’ha frantumato” stia accadendo nel presente, mentre Andrea, che si muove ad una velocità diversa, può ritenere che quello stesso evento sia già accaduto, e che quindi appartenga al suo passato.



Tutto questo fa sorgere ancora il legittimo sospetto che, se non posso dire con sicurezza quali eventi siano già accaduti e quali no, il tempo non sia altro che una costruzione umana, una mera illusione. Parmenide aveva allora ragione? Dobbiamo dubitare dei nostri sensi perché potrebbero ingannarci? La questione, come ho detto, è aperta, a dimostrazione che sul tempo, sfuggevole come lo voleva S. Agostino, non possiamo nemmeno dare un giudizio di esistenza certo.





Per chi volesse approfondire i temi trattati in questo articolo consiglio le seguenti letture:



C. Sini, I filosofi e le opere 1. L’età antica e il medioevo. Principato, Milano 2004.
F. Cioffi, G. Luppi, A. Vigorelli, E. Zanette, Il testo filosofico 1. L’età antica e medievale . Edizioni scolastiche Bruno Mondatori., Milano 1997.
V. Fano, I. Tassani, L’orologio di Einstein. La riflessione filosofica sul tempo della fisica . Clueb, Bologna 2002.



(02/11/2007)