LA GLOBALIZZAZIONE E I SUOI OPPOSITORI
JOSEPH E. STIGLITZ

L’uomo della strada vuole sapere. E’ questo il messaggio che a caratteri cubitali ci si configura davanti, dopo una prima lettura del libro di Stiglitz. Un libro accessibile a tutti, che si presta ad essere inteso come testimonianza di chi ha potuto guardare da dentro alcuni meccanismi celati della globalizzazione.

di Claudia Bruno
Così, mentre il mondo grida ‘a lupo, a lupo’, guardando alla competitività cinese sul mercato, quasi come un’ inspiegabile apparizione, Stiglitz (chief economist e senior vice president presso la Banca Mondiale dal ’97 al 2000), ci regala una vasta panoramica del modo in cui si sono svolti i fatti negli ultimi anni. Dalla crisi del Sud Est Asiatico del ’97, alla fortificazione del mercato Cinese, alla privatizzazione in Russia e nell’ex impero sovietico, passando poi per alcuni di quegli angoli di mondo dimenticati come il Botswana, l’Etiopia, l’Uganda.
Il vero filo conduttore che tiene insieme problemi più e meno evidenti della nostra epoca descritti in queste pagine, appartiene a quella sfera morale capace di prescindere dalla retorica e allo stesso tempo consapevole del fatto che consegnarsi esclusivamente ad una disciplina sarebbe come diventare ciechi. Quello che ci viene posto davanti è uno dei paradossi più indissolubili del nostro tempo: dopo il crollo dei muri (e delle torri), far parte tutti dello stesso villaggio eppure essere testimoni di pesanti asimmetrie. Un’uguaglianza pronta ad usare due pesi e due misure, insomma.

‘A nessuno piace veder morire il proprio figlio, sapendo che dall’altra parte del mondo esiste qualcuno in grado di curarlo’, dice Stiglitz. Questo è l’emblema. Siamo tutti d’accordo. Ma quando arriva il momento di cambiare le cose, nessuno se la sente davvero di rinunciare ai propri interessi particolari. Allora fino a che punto è giusto difendere la proprietà intellettuale se mezzo mondo muore di Aids perché le multinazionali impediscono l’accesso ai farmaci? Fino a che punto è giusto aiutare questi popoli semplicemente con dei prestiti che finiranno per incrementare la corruzione dei loro governi erodendo il contratto sociale alla base di uno Stato? E soprattutto quali sono le organizzazioni internazionali più adatte a portare avanti programmi di adeguamento strutturale che non tralascino la sfera sociale?

Stiglitz in questo è molto chiaro, e il suo essere stato docente non fa che favorire la sua predisposizione all’informazione accessibile. Non si limita a porre interrogativi filosofici, lui. E’ un economista, e come tale odia l’enfasi, ama i fatti. Per questo non esita a svelarci come alcune organizzazioni, FMI (Fondo Monetario Internazionale) in primis, nate più di cinquant’anni fa per la ricostruzione post-bellica, stiano attualmente distorcendo i loro mandati originari, accaparrandosi competenze che non sono le loro, semplicemente perché non sono in grado di assumersi certe responsabilità.

Questa è la storia di come quella che avrebbe dovuto essere un’istituzione internazionale pubblica, l’FMI, nel tempo è diventata garante degli interessi particolari della comunità finanziaria, estendendo la sua sfera di potere anche al di sopra di altre organizzazioni (come la Banca Mondiale, il Wto, le Ong). Trascurando l’importanza del collante sociale che tiene unita una popolazione, l’FMI si è trovato in più di un caso a privare i Paesi debitori della loro sovranità, imponendo in cambio degli aiuti condizioni simili a ricatti e forse racchiudibili nella foto di Camdessus (direttore generale dell’FMI) in piedi, con le braccia conserte, sopra un presidente indonesiano seduto e umiliato, che nel 1998 ha fatto rabbrividire molti.

Questa è la storia dell’uomo della strada, che vuole sapere, che prova a farsi delle idee e scende in strada a protestare perché è l’unica sede che gli è concessa per proferire parola. Praga, Seattle, Genova, il grido dell’uomo della strada si leva contro il WTO (World Trade Organization) per le barriere doganali che l’occidente impone di abbattere, non abbattendo le proprie. Ma è un grido che sbatte ancora contro le porte chiuse di processi decisionali protetti dalla bambagia della segretezza, non sottoponibili direttamente al giudizio dell’opinione pubblica, manifestazione sfacciata di una paura di democrazia.

Questo è uno dei pochi libri in cui le soluzioni proposte non mancano, e sono espresse esplicitamente dall’autore in termini di politica economica. Quel che più è nascosto, ma non resiste ad emergere quasi come in un’emulsione, è una speranza disperata di cambiare le cose, che Stiglitz ci semina sparsa tra le righe. La stessa che a fine ultimo capitolo ci parla di una ‘globalizzazione dal volto umano’.


(23/06/2005)