TEST COSMETICI AL BANDO
L’uomo è dotato di infinita bontà ma allo stesso tempo riesce ad esprimere la crudeltà in maniera raccapricciante. I test cosmetici su animali sono uno di quegli esempi di egoismo e mancanza di rispetto per la vita che macchiano la nostra fedina penale. Pochi giorni fa, tuttavia, anche l’Italia ha approvato una legislazione che vieta, entro il 2013, l’utilizzo di animali per i test cosmetici.
di Rachele Malavasi
E’ stata accolta con grande entusiasmo la ratifica, da parte del Governo italiano, delle legislazioni della Comunità europea che vietano i test cosmetici su animali. La CEE aveva emanato la legge già nel 2003 (o meglio, le prime considerazioni a riguardo risalgono al 1998, ma una vera legislazione è stata approvata solo due anni fa) ed oggi anche l’Italia fa parte di questo grande progetto.

La legge stabilisce il divieto di sperimentazione cosmetica su animali e di commercio di prodotti cosmetici testati sugli stessi.

Un traguardo che sembrava irraggiungibile visto che in Italia sono stati spesi solo nel 1997 ben oltre 11 miliardi e mezzo di lire in cosmetici (fonte LAV), di cui ovviamente la stragrande maggioranza derivata da morte e sofferenze. Questa legislazione imporrà alle aziende che effettuano vivisezione una revisione totale della loro politica, che gli creerà non pochi problemi organizzativi. Al contrario, le piccole case produttrici che da sempre hanno rifiutato di sperimentare i propri prodotti su animali (vedi box a destra) potranno finalmente rendersi visibili agli occhi dei consumatori, fino ad oggi abbagliati dagli sfavillanti slogan delle compagnie più facoltose.

Prima di entrare nei dettagli della nuova legislazione, è bene avere chiaro il concetto di “test cosmetici su animali”.

Prima della ratifica, ogni volta che un’azienda decideva di utilizzare un nuovo ingrediente per un cosmetico, era tenuta ad effettuare svariati tipi di test, in modo da identificare tre livelli di tossicità possibili: acuta, subacuta e cronica. I più comuni di questi sono l’LD50, il Draize test ed il test di cancerogernicità.

LD50 sta per “dose letale nel 50% dei casi”, e prevede la somministrazione di un prodotto all’animale finché la quantità non diviene tossica ed esso muore (in tempi variabili da ore a settimane). Il Draize test consiste nel testare il prodotto sulla cute o sugli occhi, osservando le possibili ustioni o reazioni allergiche. Il test di cancerogenicità prevede che l’animale (in genere un roditore) inali o ingerisca per diversi anni di fila una sostanza. Quindi viene ucciso e l’autopsia determina l’insorgenza del tumore.
In nessun caso vengono utilizzati anestetici, perché potrebbero modificare l’esito del test.

È stata provata più volte l’inefficienza di questi metodi: in campo cosmetico, infatti, la maggior parte dei prodotti utilizzati è poco o affatto tossica, e la morte dell’animale sopraggiunge per deterioramento degli organi causato dai test ripetuti e dalle massicce dosi di prodotto inoculate, dosi a cui un essere umano si sottoporrebbe solo se desiderasse morire.

In campo medico, tra gli esempi più eclatanti di test del tutto fuorvianti, il dietilstilbestrolo, antiabortivo “garantito” dalla sperimentazione su animali, ha provocato cancro alla mammella nelle madri, tumori ai testicoli nei figli, cancro vaginale o uterino nel 95% delle figlie; nel 1978 il cliochinolo ha paralizzato e accecato 30.000 persone; il Bactrim, sulfamidico utilizzatissimo per i bambini, è stato dichiarato nel 1994 responsabile di migliaia di morti in tutto il mondo, di cui 113 casi accertati in Inghilterra. E l’elenco di prodotti approvati dalla sperimentazione animale, ma letali o quasi per l’uomo, è davvero lungo.


Viceversa, prodotti che sembravano dannosi per gli animali, risultarono per l’uomo utili in campo medico o quantomeno privi di effetti collaterali: la digitale, usata per curare i disturbi cardiaci, venne introdotta con almeno 10 anni di ritardo perché dannosa per il cane; l’insulina, indispensabile per i diabetici gravi, provoca malformazioni in galline, topi, conigli; l’aspirina è teratogena (altera lo sviluppo dell’embrione) per gatti e topi, ma non per l’uomo.

I test cosmetici, che attualmente coinvolgono circa 50.000 animali l’anno (quasi 150 al giorno – fonte LAV), vengono effettuati per fornirci profumi, ciprie, rimmel, rossetti, smalti… Inutile chiedersi se ne vale la pena.

Quindi, per continuare fino al 2013 non solo a farsi belle, ma anche a lavarsi denti, mani e capelli, nel rispetto degli animali, basterà acquistare i prodotti che portano la dicitura “Non Testato su Animali” o il logo della ECEAE - European Coalition to End Animal Experiments che, secondo lo Standard Internazionale, garantiscono che né il prodotto finito né gli ingredienti necessari per produrlo siano stati testati su animali. Al contrario, le diciture prodotto finito non testato su animali e Cruelty free garantiscono solo che il prodotto finito non sia stato testato, mentre gli ingredienti sì… una ridicola forma di ipocrisia.

Le aziende che utilizzano la dicitura “Non Testato su Animali” o il logo ECEAE sono sottoposte a controlli a sorpresa dell’ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale), per garantire che non ci siano irregolarità.

La nuova legislazione nel campo dei test cosmetici introduce tre importanti novità, secondo la visione di Roberta Bartocci, responsabile LAV settore Vivisezione:

- divieto di eseguire su animali test dei prodotti cosmetici finiti, o di commercializzare prodotti cosmetici finiti che abbiano subito test su animali, a partire dall’11 settembre 2004: i test sui prodotti finiti sono facoltativi, eppure molte fra le aziende più grandi hanno deciso di effettuarli ugualmente…
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- divieto di eseguire su animali test per materie prime cosmetiche, entro il 2013: il fatto che la cosa sia stata rimandata fin dal 1998, dipendeva dall’assenza di metodi alternativi alla sperimentazione animale. Oggi che i metodi ci sono, è stato dato un limite “di comprensione” che termina nel 2013.
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- più rigidità nella possibilità di affermare che il prodotto è “non testato su animali”, dall’11 marzo 2005: non è possibile utilizzare tale dicitura, a meno che non sia possibile garantire che il test non sia stato compiuto nemmeno sugli ingredienti usati per il prodotto finito. Dall’11 marzo nessun prodotto porterà diciture fuorvianti come quelle già menzionate.

Purtroppo però il Decreto non indica se e come le aziende verrebbero controllate. Una mancanza che rischia di castrare in partenza questo progetto di rinnovamento etico.

Recentemente inoltre, il governo francese ha presentato un ricorso contro la direttiva della CEE, perché ritiene che le regole imposte siano contrarie all’OMC (Organizzazione mondiale del commercio) ed al libero mercato. I francesi chiedono che il divieto di sperimentazione non sia accompagnato dal divieto di commercio dei prodotti cosmetici testati con metodi non convalidati a livello comunitario…

Nella speranza che le lamentele del governo francese rimangano inascoltate, e aspettando con ansia il traguardo del 2013…occhio all’etichetta!!


L'immagine è tratta dal sito crimini novivisezione.org


(03/05/2005)