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IL GIARDINO DEI CILIEGI
ANTON CECHOV
Gianluca Traini

Il più bel complimento che il grande scrittore americano Raymond Carver poteva ricevere era quello di sentire paragonate le sue storie a quelle dell'autore che lui considerava il più grande scrittore di racconti mai vissuto: Anton Cechov. Ma Cechov fu, oltre che uno straordinario scrittore di racconti, anche uno dei maggiori drammaturghi del suo tempo, tanto che alcune celebri definizioni date alle sue storie narrative, al cui confronto "le opere degli altri scrittori sembrano rozze, scritte con un tronco, invece che con la penna", si possono riferire benissimo anche alle sue maggiori opere teatrali. Tra queste un posto particolare occupa l'ultima che scrisse, Il giardino dei ciliegi, di cui è disponibile da vari anni una traduzione in italiano da parte di Gerardo Guerrieri per le edizioni Einaudi. Nel Giardino dei ciliegi Cechov raggiunge forse il culmine della sua opera teatrale. La sua ambizione di presentare sulla scena "la vita così com'è" trova nella storia della vendita della proprietà del giardino dei ciliegi, ultima risorsa affettiva ed economica di una nobile famiglia russa decaduta, la realizzazione più efficace e memorabile. Se nel Gabbiano, il primo grande dramma scritto da Cechov qualche anno prima, "le molte conversazioni sulla letteratura e il quintale d'amore" presenti nella storia finivano in alcuni punti per far sopravanzare le personalità dei protagonisti sul naturale svolgersi degli eventi, nel Giardino la rappresentazione di ciò che accade è di una trasparenza e di una semplicità uniche. Ed è in questa lineare e quotidiana semplicità di rappresentazione tessuta dalle chiacchiere, dalle feste, dagli incontri di ogni giorno che si rivela compiutamente la "musica" del teatro cechoviano, che, come ha scritto in un saggio il traduttore di questa edizione italiana, è una "complicatissima armonia di semplicità (.) un momento mozartiano del dialogo." E come Mozart veniva accusato da alcuni suoi contemporanei di comporre delle musiche elementari la cui ossatura era contraddistinta semplicemente da delle continue scale di note, così Cechov veniva rimproverato da Tolstoj, che ammirava i racconti del compatriota tanto quanto detestava i suoi drammi, di rappresentare sulla scena soltanto dei personaggi senza spessore morale, che non portavano lo spettatore da nessuna parte, se non "dal divano al ripostiglio e viceversa". Ma, a dispetto di quel che credeva Tolstoj, la grandezza e l'unicità del teatro di Cechov , e in particolare del Giardino dei ciliegi, risiede proprio nella scelta di far muovere i personaggi "dal divano al ripostiglio", di coglierli cioè, sì in momenti fondamentali delle loro esistenze, ma sempre attraverso uno sguardo puntato sulla loro quotidianità più elementare, quella quotidianità piena di contraddizioni che li rende così umani da farceli sentire, pur nella distanza spazio temporale che ci separa da loro, partecipi con noi di un destino comune.



(13/05/2004) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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