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LIRE 26.900. PUO' UN LIBRO CAMBIARE LA VITA?
Succede raramente che i libri cambino la vita. Figuriamoci il sistema. Forse, non lo cambierà nemmeno questo, però…

Stefano Zoja

Beigbeder è un ex pubblicitario, oggi critico e romanziere. E’ un pentito. Grazie a un libro – questo – è stato buttato fuori dall’agenzia pubblicitaria che gli aveva offerto una vita splendente e plastificata in cambio del suo cervello. Era diventato complice – anzi artefice – di quello che lui chiama il nuovo “totalitarismo pubblicitario”. La pubblicità addomestica i pensieri della gente e fa anche di peggio: ne dirige i desideri. A forza di vedere pelli abbronzate e levigate, cieli blu profondo e merendine fumanti in allegre casette, molte persone vacillano. Finiscono per rincorrere desideri che sono stati ritagliati su misura della grande distribuzione. La pubblicità gioca sporco, finge di volere la nostra felicità e invece mira alla nostra infelicità: l’individuo appagato non consuma. Beigbeder non voleva giocare più.

E il pubblicitario? Alla fine resta impigliato negli stessi ingranaggi. Il sistema del profitto a ogni costo, che il pubblicitario ha contribuito a creare, alla fine fagocita anche lui. Il lavoro è una via di mezzo fra una gabbia e la prostituzione, i rapporti umani ipocriti e isterici. Ma il pubblicitario raramente si accorge di qualcosa: fluttua fra auto di lusso, cocaina e ricordi malinconici e sfumati di quando era presente a se stesso. Come succede a Octave Parengo, protagonista del romanzo e pubblicitario della peggior specie. Fino a quando la coscienza da una lato e l’istinto di sopravvivenza dall’altro mettono in crisi le sue degenerate abitudini. Allora Octave scrive un libro – questo – per farsi licenziare (con una profumata buonuscita) dall’agenzia pubblicitaria che gli aveva offerto una vita splendente e plastificata…

L’autobiografia finzionale di Octave si sovrappone a quella personale di Beigbeder. Proprio questo è uno degli aspetti più intriganti del libro: i confini fra l’invenzione e l’esperienza personale dell’autore non sono sempre chiari e tutto, in ogni caso, ha una perfetta verosimiglianza. Beigbeder vuole essere una talpa, un ingrato, che porta alla luce uno spaccato più che credibile delle meschinità di uno dei principali centri di potere della contemporaneità. E amalgama tutto con l’invenzione narrativa che cresce e prende sempre più il posto del documento, arrivando a un finale visionario. In mezzo troviamo pensieri, provocazioni, citazioni, risate e qualche lampo di poesia. Lo stile è quello di un pubblicitario che sa tenere bene la penna in mano: è coinvolgente, ma per alcuni potrebbe forse risultare irritante.

Proprio di questi tempi il garrulo Tonino Guerra, ex sceneggiatore di Antonioni, ora ottuagenario testimonial di un grande magazzino, ci esorta a essere ottimisti. Da dentro uno spot. Ma Beigbeder, che di spot ne ha scritti a decine, risponderebbe che non c’è proprio niente da ridere. I grandi magazzini, le case automobilistiche e le agenzie pubblicitarie si sono coalizzate contro le nostre aspirazioni naturali. Nel sistema capitalista sono annidate una serie di ipocrisie e il romanzo, mentre ci avvince, ce lo ricorda. Siamo davanti a un monito o a un promemoria. Lo sconforto con cui emergiamo dalla lettura significa che il libro funziona.


(03/05/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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