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PSICOTERAPIA E VISIONE SCIAMANICA DELL'INDIVIDUO
Non so se capiti normalmente a chi svolge la professione di psicoterapeuta di chiedersi, ad un certo momento, fino a che punto la psicoterapia aiuti la persona a “guarire” dai suoi problemi.
A me è capitato.

Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt


E questo, se in un primo momento mi ha fatto vivere una stasi critica, in seguito ha portato una trasformazione alchemica della mia percezione della realtà.

Tornando alla domanda di partenza, mi viene subito in mente quanto affermato da molti: la psicoterapia non guarisce l’individuo, ma lo aiuta a stare meglio.
Premesso che ogni ambito terapeutico ha la propria visione della realtà “oggettiva” e “soggettiva”, e i propri strumenti di aiuto ad essa collegati, la mia specifica formazione ed esperienza professionale gestaltica mi ha fornito l’opportunità di puntare i riflettori sulla capacità di autorealizzazione insita in ogni essere umano, così come in ogni essere vivente.

In quest’ottica, è importante che il lavoro psicoterapeutico non perda mai di vista la peculiarità e unicità di ogni singolo individuo, rispettando profondamente i tempi, le modalità e il livello di autorealizzazione di ognuno, al di là di ogni ipotesi prognostica.

In realtà, comunque, fornire gli strumenti per arrivare a un certo grado di autorealizzazione non equivale quasi mai ad innescare profondi processi di autoguarigione.

Ho sempre più prove esperienziali del fatto che, fin quando si punta a prendere in considerazione i processi mentali e/o corporei, se pur nella loro unità, si taglia fuori dall’individuo la sua vera essenza, il suo vero motore vitale che, anche se, per esprimersi, si “serve” di ingranaggi come la mente e il corpo, non può certo identificarsi totalmente con essi.

Mi riferisco qui alla parte spirituale che utilizza l’esperienza per evolversi, che è moto-re perché è intenzionalità pura, al di fuori da ogni automatismo che invece è sperimentabile sia dalla mente che dal corpo.

La considerazione di questo terzo elemento costituente dell’individuo, terzo non certo in senso di importanza, a mio avviso fa cambiare anche la prospettiva di qualsivoglia relazione terapeutica di aiuto.

Lo spirito non è vincolato da limiti, a differenza degli altri due piani esperienziali.
Non esiste dunque, partendo dal piano spirituale, l’eventualità di “non potere”, bensì semmai quella di “non volere”; ciò porta a fare un grosso salto di prospettiva, considerando ogni individuo come potenzialmente capace di scegliere consapevolmente, al di là del contesto socioculturale di appartenenza e al di là di qualsivoglia condizionamento ad esso legato.

Scegliere, ad esempio, di mangiare o digiunare o mangiare l’indispensabile, di dormire o stare svegli o in dormiveglia, di ammalarsi o stare bene o benino, e così via, la lista potrebbe essere interminabile…

Dalle mie personali esperienze vissute al di fuori della formazione psicoterapeutica (che comunque ripercorrerei identica), e dai miei viaggi in terre e culture distanti dalla nostra, ho appreso quanto sia grande la capacità del nostro spirito di fare esperienza e quanto altrettanto grandi possano essere gli ostacoli che la nostra mente, i nostri condizionamenti, i nostri automatismi possono frapporre per bloccarla o comunque impoverirla.
Così come la capacità di autoguarirsi può essere molto più profonda se diveniamo consapevoli e lasciamo esprimere anche questa nostra parte spirituale.

Ho avuto modo di incontrare diversi maestri di crescita sul mio cammino, di sperimentare tecniche di guarigione provenienti da tradizioni molto antiche e che ancora oggi vengono praticate usualmente da molte popolazioni, come la “Caccia all’Anima” o “Psiconavigazione”. Questa tecnica parte dal presupposto che qualsiasi trauma psicologico, fisico o evento spiacevole, innesca, come meccanismo di difesa nei confronti del dolore, quello che viene chiamato “distacco di un pezzo d’anima” (con un processo di per sé equivalente ad un meccanismo di difesa psicologico, con la differenza che agisce ad un livello molto più profondo di quello comunemente preso in considerazione in psicoterapia), minando l’integrità profonda della persona.

Tale tecnica, presente da millenni in tutte le culture tradizionali del nostro pianeta, sia orientali che nell’America precolombiana, permette all’individuo di recuperare questi pezzi d’anima, “ripuliti” dalla sofferenza legata all’evento traumatico o comunque spiacevole.

Quando ho sperimentato tecniche come quella appena descritta mi sono subito detta che le avrei usate solo per la mia crescita personale, condizionata, capisco ora, dallo stereotipo riassunto dalla frase comune “gli psicologi sono folli e strani”.
Fortunatamente, però, la Realtà mi ha posto a confronto con eventi e contesti che quasi naturalmente mi hanno indotto a cambiare prospettiva.

Dal momento che ritengo non molto utile non condividere ciò che si ha e si sa, avere sperimentato degli strumenti di aiuto olistici validi ha fatto scattare la molla che mi ha spinto a metterli a disposizione anche delle persone, che mi chiedevano aiuto in qualità di psicoterapeuta.

La preoccupazione di squalificare la mia professionalità a causa dell’utilizzo di tecniche non propriamente psicologiche si è così dissolta naturalmente.


  
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