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12 MAGGIO. A CIASCUNO IL SUO
A Roma due manifestazioni che portano all’attenzione della politica e della società civile il problema della vita condivisa. Noi dove saremo?

Daniela Mazzoli

I toni del dibattito intorno al problema dei ‘Dico’, della famiglia e del futuro delle giovani coppie ha conosciuto negli ultimi mesi alterne impennate e improvvisi cali. Sembrava già tutto pronto – polemiche e scontenti a parte - che dei ‘Dico’ per un po’ si è smesso di sentir parlare.

Poi, anche grazie alla puntuale presenza delle esternazioni clericali in merito all’argomento, il tema è tornato più e più volte ad animare serate televisive, salotti e quotidiani di ogni orientamento. Intanto si è faticato a capire quali fossero i soggetti coinvolti nel merito: erano soltanto omosessuali a beneficiare di questa nuova normativa oppure anche coppie costruite da ‘maschio e femmina li creò’ avrebbero potuto accedere ai diritti delle unioni di fatto? E soprattutto non si poteva o voleva proprio capire perché questi benedetti ragazzi non volessero saperne di recarsi in chiesa o in comune a stipulare il patto con Dio e lo Stato. Insomma, avrebbero reso la vita molto più semplice a tutti senza costringere gli ‘anziani’ dei seggi e degli scranni a doversi confrontare col presente e specialmente con il futuro.

C’è un che di reazionario in questo sentimento di panico rispetto alle cose che cambiano, alla vita in movimento. C’è un tentativo di arginare il cambiamento delle cose, ma facendolo dall’alto, col potere dalla parte del manico. C’è, appunto, come di fronte a tutte le novità, un istinto a proteggere quel che già si conosce. Pur con mille difetti, infatti, la famiglia tradizionale è una realtà ampiamente indagata dal mondo della politica, della cultura in tutte le sue forme. I divorzi e le separazioni sono certamente in aumento; l’età dei matrimoni si alza; la nascita del primo –e spesso unico - figlio si avvicina sempre più ai quaranta; eppure a una legge che si propone di tutelare i diritti di una numerica minoranza si oppongono in moltissimi, sostenendo che andrebbe a minare l’esistenza della cellula sociale più importante…

Scendono in piazza, sabato 12 maggio. Scendono in piazza ‘contro’ i Dico, e non ‘per’ la famiglia. Per la famiglia si doveva scendere in piazza ogni anno degli ultimi quindici anni: quando il sistema sociale stava cedendo, quando lo Stato non si è attrezzato per il progresso delle strutture e la tutela dei contratti di lavoro. Quando lo Stato non si è reso capace di dare limiti al mercato indecente del mattone, al furto del tempo non pagato, all’allarme di un futuro senza progetti. Quando la Chiesa – sì certo, con le sue colpe - non è stata in grado di accogliere giovani nuovi nelle parrocchie e negli oratori, di ascoltare con fiducia le loro parole, le questioni da risolvere realisticamente, senza promuovere una politica sessuale cieca, più vicina al medioevo che al secolo in corso. Quando persino le sante famiglie che ci hanno cresciuto e fatto studiare non sono state in grado di tutelarci dai conflitti piccoli o grandi, ma che a noi sono sempre apparsi feroci, della vita in comune con tutti i suoi egoismi irrisolti.

Tutto abbiamo visto e sentito: padri contro madri, suocere contro nuore, sorelle contro cognate, fratelli contro fratelli. Tutto sappiamo dei meccanismi umani – troppo umani - che governano questioni di successioni ed eredità, di nipoti impari, di nonni assistenzialisti eppure terribili.


  
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