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Ad un primo impatto, a noi europei, Kaffrine sembra un paese, anche se molto grande. In realtà c’è tutto quello di cui una media cittadina necessita: un liceo (enorme) e scuole elementari, un palazzetto dello sport (dove si tengono anche concerti), uno stadio, una stazione dei treni (l’unica linea internazionale dell’Africa Occidentale: Dakar-Bamako, Mali.

L’unico problema è che non si sa con certezza con quali orari e, soprattutto, in quali giorni passino i treni: bisogna aspettare...), un night-club (gestito da Janine, una francese di quasi settant’anni...), un cinema in cui si danno vecchi film europei ed indiani (un mio amico vide “Vieni avanti cretino”, con Lino Banfi, in italiano: non so quanti spettatori avessero capito qualche cosa…), dei meccanici, una stazione di polizia con prigione, un ospedale, una stazione di servizio della Shell moderna, identica per le insegne, le luci, il servizio e la divisa del benzinaio a quelle in Europa (in cui capita, però, che non ci sia benzina), mille “boutique” (piccoli negozietti in cui si vende un po’ di tutto), il mercato con i suoi sarti, le verdure, cianfrusaglie varie, ecc…
Insomma, non manca proprio nulla, proprio come in una cittadina italiana: solo se vi capita di cercare delle guarnizioni per il rubinetto che perde, potrebbero esserci problemi…Caratteristiche sono le sue ”dibitierie”, tavernette in cui si può gustare il “dibi”, carne di montone grigliata al fuoco. Un giorno ne visitai una, dove ordinai anche della Coca-Cola da bere, che, però, non c’era. Allora il gestore andò in una boutique dall’altra parte della strada, parlò con il proprietario, mi indicò, e tornò con una bottiglia di Coca-Cola. Quando pagai, tornò alla boutique e rese i soldi dovuti: a me non fece pagare un cent di più di quello che la pagò lui. Come dire, credito sulla fiducia senza interessi….Dalla stazione degli autobus, si possono prendere i “Taxi-Brousse” con destinazione i villaggi di savana, oppure le altre città.

Nei pressi di Kaffrine, a circa 30 km e due ore di pista sterrata, con buche profonde anche quasi un metro, c’è Ndyao Bambaly . È un villaggio di savana, di quelli veri, con le capanne con il tetto di paglia, i pozzi per l’acqua, senza elettricità...la vera Africa. Attorno ad esso ci sono i campi di arachidi, di sesamo, delle pseudo-risaie ricavate dal “fiume” Bao-Bolon, boschi molto radi di acacia, giganteschi baobab, l’albero del pane delle scimmie.

Diciamo che tra i villaggi dei dintorni è il più importante: il lunedì si tiene il mercato al quale arrivano venditori ed acquirenti da tutti i villaggi vicini, chi a piedi, chi con il suo carretto a cavallo, che vengono “parcheggiati” in aree appositamente organizzate. In esso si può trovare di tutto: cesti, vasi di terracotta, ortaggi e frutta, bacinelle di plastica, artigiani vari, panettieri. Forse non ci crederete, ma qui ho mangiato alcune tra le più buone baguettes della mia vita.

I suoi abitanti si conoscono tutti (un migliaio) e conoscono anche tutti quelli dei villaggi vicini. I bambini corrono scalzi e giocano, sempre allegri. Quando vedono un bianco gli corrono incontro, mentre i più grandicelli si occupano dei più piccoli o vanno in cerca di legna da ardere nella savana. Naturalmente, vedendoti, si aspettano da te un piccolo regalo , qualsiasi cosa (una penna, un cappellino, una carezza, una stretta di mano). Vi erano alcuni problemi con i pastori nomadi (perlopiù di etnia Peul, originari del nord del Paese, ai confini con la Mauritania) che di lì transitavano con le loro greggi: venivano accusati di arrecare danni ai campi coltivati e di rubare alcuni capi di bestiame appartenente al villaggio. Una rivalità antica come la civiltà: l’agricoltore contro l’allevatore.

A Ndyao Bambaly ci andavo abbastanza spesso, per lo più con il comodo fuoristrada del progetto per cui lavoravo.

Mi capitò, tuttavia, di raggiungerlo anche con altri mezzi. Una volta con una vecchia e scassatissima Renault 4, senza ammortizzatori. Eravamo io e Jean Claude. Ad un certo punto, ci viene incontro a tutta velocità un’altra Renault 4 facendo i fari. Jean Claude si gira all’improvviso: dietro di noi ce n’è un’altra che sta rallentando...

Il mio amico ha un’aria preoccupatissima, diventa pallido, pur essendo senegalese...
”Eh, Giuliano, vai, vai, veloce, veloce...è pericoloso...non ti fermare...” Mi disse che sarebbero potuti essere una pattuglia della polizia e dei contrabbandieri o venditori di droga: siamo a pochi chilometri dal confine con la Gambia, e ci sarebbe potuta essere una sparatoria e noi ne eravamo nel bel mezzo.

Il mio cuore cominciò a battere a mille all’ora. Tirai dritto senza farmelo dire due volte…passammo la Renault davanti a noi. Guardai nello specchietto retrovisore: le due auto si avvicinarono. Le persone cominciarono a parlare tra loro: erano tutti delinquenti o tutti poliziotti, meno male...

Altre volte mi capitò di andarci in “autobus”: uno di quei vecchi furgoni Mercedes, da una trentina di posti. Il mio, come tutti gli altri, era stracarico non di persone (i passeggeri erano, stranamente, uno per ogni posto….) ma di mercanzie: capre e pecore sul tetto, sacchi, ecc...: i polli – legati alle zampe- prendevano posto all’interno, sul grembo dei passeggeri oppure sul pavimento. Capitava che, non essendoci cartelli stradali, l’autista non conoscesse la strada: si fermava ad un incrocio in un villaggio a chiedere informazioni. Naturalmente, poi, ogni passeggero aveva una sua strada differente da indicare...e così si viaggiava anche un po’ a vuoto, nella savana...


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