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AFGHANISTAN. COSA RESTA OGGI
Terra di deserto e di arsura, popolo di nomadi… facce arse dalla polvere, pastori abituati a vivere su asini e cammelli… paese di mercati e di bazar, antico luogo di bellezza e di arte, custode di civiltà diverse e lontane… cultore dell’ospitalità e dell’accoglienza… Afghanistan: cosa ne resta oggi?

Daniela Mazzoli

Incastonato come una pietra di enorme valore tra Iran, Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Cina, l’Afghanistan deve alla sua posizione geografica il ruolo da terra di passaggio, di snodo, di transito: dunque contesa e poverissima. Hanno tentato la conquista di questo Paese molti popoli, per interessi economici e strategici: dai Persiani ai Greci, dai Turchi ai Mongoli, dagli Arabi ai Sovietici.

Frutto della convivenza di varie etnie, l’Afghanistan è stato lacerato anche al suo interno dalle tensioni per la conquista del potere. All’inizio degli anni ’80 Stati Uniti e Pakistan iniziarono a sostenere i mujaheddin contro le forze di occupazione sovietiche, che si ritirarono, con gravi perdite di mezzi e uomini, soltanto nel 1989.

Una volta risolti i conflitti causati da pressioni esterne fu in seno alla propria società che l’Afghanistan cominciò a trovare motivi di lotta. Tra i ‘signori della guerra’ e i Talebani ebbe inizio una vera e propria battaglia per il controllo del territorio. I talebani, rigidi interpreti del Corano, tentavano di riportare il Paese a uno stato di pace imposta attraverso la severa applicazione del pensiero religioso. Furono loro a ristabilire le antiche leggi del taglio della mano per i ladri e della lapidazione per gli adulteri. E furono sempre loro a gettare in un triste oscurantismo la condizione delle donne, escludendole dall’istruzione e impedendo loro lo svolgimento di una normale vita sociale.

Dopo gli attentati dell’11 settembre e l’intervento statunitense si è assistito a un caduta del potere talebano, alla costituzione di una Repubblica Islamica dell’Afghanistan e alla elezione, nel 2002, del presidente Hamid Karzai.
Ogni giorno di guerra, ogni vittima caduta, ogni drammatico evento in cui hanno trovato la morte migliaia di civili è costata alla Nazione un passo indietro nella storia, un incontro mancato con il progresso, uno scalino sceso verso il baratro della miseria più nera.

La consistente ricchezza derivante dalla vendita illegale di oppio, (l’Afghanistan fornisce il 90% del consumo mondiale), viene totalmente utilizzato per l’acquisto di armi sempre più numerose e sofisticate, che vanno a rafforzare di volta in volta il potere dei gruppi in conflitto, inclusi quelli facenti capo ad Osama Bin Laden.

La mancata soluzione dei gravi problemi economici e sociali da parte del Governo insediato ha portato nuova forza al potere dei talebani, sostenuti anche dalla popolazione. Solo nel 2006, infatti, hanno perso la vita a causa della guerra 4.000 persone, 1000 dei quali civili: erano soprattutto donne e bambini.

In un Paese così devastato e contraddittorio, in cui sorprendentemente il 28% degli eletti in Parlamento è costituito da donne (il 3% in più rispetto all’Italia), la sofferenza dei conflitti si aggrava a causa della mancanza di strutture per la popolazione in sofferenza.

A questi gravi bisogni tentano di rimediare Croce Rossa, Emergency e altre organizzazioni di volontariato e solidarietà. Grazie a loro si costruiscono ospedali e si presta soccorso a chi ne ha bisogno.

Chi ha visitato l’Afghanistan 30 anni fa lo ricorda come una terra sospesa nel tempo, abitata da persone povere, semplici, allegre. Ricorda il profumo di spezie nei vicoli, le donne senza volto dietro i lunghi mantelli, i buddha meravigliosi distrutti poi dal tritolo dell’intolleranza.

Oggi i volti sopravvissuti di quella terra non molto lontana, ci chiedono di poter recuperare bellezza e memoria…


(11/03/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


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