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ROMA A FERRO E FUOCO
I GIORNI DEL DOLORE

Il quinto appuntamento di Lezioni di Storia ha visto come protagonisti i giorni del Sacco di Roma. Uno degli avvenimenti più tragici della millenaria storia di questa Città è stato rivissuto giorno per giorno grazie alla ormai ben nota rassegna nata dalla collaborazione fra la Casa Editrice Laterza e la Fondazione Musica per Roma.

Donatella Cerulli

Sedicesimo Secolo: i giorni gloriosi della Roma imperiale sono ormai ben lontani, così come è ormai definitivamente calato il sipario sul sogno di farli sopravvivere in quelli insidiosi del Sacro Romano Impero.
Un nuovo continente è stato scoperto, l’America, e da quelle lontane terre sembra soffiare un vento di rinnovamento che spazza via da Roma le ceneri dei giorni bui e oltraggiosi del Medioevo: l’Urbe torna a risplendere negli ori e nei marmi dei pontefici del Rinascimento.

Nel primo ventennio del Cinquecento Roma è una eccezionale fucina creativa che vede all’opera i maggiori artisti dell’epoca chiamati in Città da papi mecenati e “mondani”. Da un capo all’altro della Città Eterna, con un enorme dispiego di uomini e mezzi, si costruiscono splendidi palazzi e chiese monumentali, si tracciano nuove strade, si tirano su dalle macerie dell’antichità i grandi obelischi elevandoli al centro delle piazze più belle di Roma… mentre i grandi Maestri incidono, affrescano, dipingono immortali opere d’arte…

La Roma del Cinquecento vede i suoi papi impegnati in un’immane opera di costruzione e ricostruzione che dissangua le casse della Chiesa: dove trovare i fondi necessari? Nei Giubilei, nelle reliquie, nella vendita delle indulgenze… Un commercio di cose sacre che fa sì che il Sacco di Roma del 1527 venga ricordato da alcuni studiosi come una crociata luterana contro la corrotta Roma papalina.

In realtà, l’intera vicenda si staglia sul più ampio scenario dei conflitti tra Francesco I di Valois, Re di Francia, e Carlo V d’Asburgo, Re di Spagna e Imperatore del Sacro Romano Impero. Fra i due si inserisce papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici, che timoroso di veder spazzato via lo Stato Pontificio dalle mire espansionistiche di Carlo V, si fa promotore di una lega anti-imperiale, la cosiddetta Lega di Cognac. La ritorsione dell’Imperatore nei confronti del Papa non si fa attendere e Carlo V gli scatena contro la potente famiglia romana dei Colonna, nemici storici dei Medici. L’abile mossa del re di Spagna sortisce i suoi effetti e Clemente VII, pur di liberarsi dell’assedio dei Colonna, chiama in soccorso Carlo V promettendogli di schierarsi al suo fianco contro il Re di Francia. Carlo V mantiene l’impegno e libera il Papa, ma questi viene meno alla parola data e chiama nuovamente in aiuto Francesco I.

Questa volta la vendetta di Carlo V si abbatte sul Papa e su Roma con ferocia fermezza ed invia contro lo Stato Pontificio le agguerritissime milizie spagnole ed un nutrito contingente (12.000, forse 20.000) di mercenari lanzichenecchi (dal ted. landsknecht composto da land, “paese” e knecht, “servo”), fanatici luterani.

Il 6 maggio del 1527 i soldati dell’esercito imperiale, abbandonati a se stessi, affamati e senza paga da mesi, hanno ben presto la meglio sulle esigue e mal organizzate difese pontificie ed espugnano la Città, ad eccezione di Castel Sant’Angelo dove Clemente VII a stento riesce a rifugiarsi, grazie al sacrificio dell’intera Guardia Svizzera.
Dall’alto dei bastioni del Castello, il Papa assiste per otto lunghissimi, interminabili mesi allo scempio della sua bellissima Roma e della sua popolazione: torture, omicidi, rapine, stupri, saccheggi, incendi, sfregi di luoghi e cose sacre, efferatezze di ogni genere ai danni dei religiosi, devastazioni e distruzioni e poi… la peste, la morte nera che ad un certo punto colpisce tutti, vittime e carnefici, senza pietà. Quando il 6 ottobre del 1528 Clemente VII ritorna a Roma dalla sua fuga, dapprima ad Orvieto e poi a Viterbo (una “fuga” concordata e pagata profumatamente ai comandanti dell’esercito imperiale), il papa si trova di fronte ad una città straziata, mutilata, spogliata di tutto, perfino dei suoi abitanti: solo un romano su cinque è riuscito a sopravvivere all’immane tragedia.

Roma piange i suoi morti, e la Cultura piange la diaspora dei grandi artisti che segna la fine della stagione più intensa del Rinascimento italiano. Ai freschi venti del rinnovamento del Cinquecento segue l’aria stagnante della provvisorietà, dell’insicurezza e della precarietà del Seicento.

Il Sacco di Roma: le vivaci atmosfere del prima, la tragicità degli eventi, le incertezze del dopo sono state ampiamente descritte da Antonio Pinelli, professore di Storia dell’arte moderna all’Università di Pisa, che per oltre due ore ha intrattenuto la sua “scolaresca” facendola vibrare di emozioni forti e contrastanti, sempre avvincenti.


Appuntamento alla sesta lezione: Il rogo di Giordano Bruno, a cura del professore Anna Foa.
Domenica 4 febbraio alle ore 11
Roma, Sala Sino poli dell’Auditorium Parco della Musica


(30/01/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


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