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AFORISMI DI ZURAU
FRANZ KAFKA

Vengono pubblicati per la prima volta nella forma predisposta da Kafka nel manoscritto originale gli Aforismi di Zurau.

Gianluca Traini

Elias Canetti scrisse una volta in suo libro: "Ci sono certi scrittori-ben pochi, di fatto-, i quali sono così totalmente se stessi che qualsiasi dichiarazione su di loro uno si arroghi potrebbe sembrare una barbarie.Uno di tali scrittori fu Franz Kafka; così, pur correndo il pericolo di apparire non libero, uno deve tenersi il più stretto possibile alle sue stesse dichiarazioni".

E se per parlare di Kafka nel migliore dei modi bisogna tenersi ben stretti a ciò che lui scrisse, nel pubblicare i suoi testi, per lo più postumi, si deve allo stesso modo rimanere il più aderenti possibili alle impostazioni grafiche che lo scrittore praghese dimostrò di preferire durante la sua vita, alle forme, a loro modo compiute, in cui lasciò alcuni suoi manoscritti, come ha ricordato giustamente Milan Kundera nel suo libro sul romanzo, I testamenti traditi.

È quindi più che mai opportuna la pubblicazione in italiano per la prima volta nella forma predisposta da Kafka nel manoscritto originale dei cosiddetti Aforismi di Zurau, una raccolta di frammenti che scrisse durante il suo soggiorno a cavallo del 1917 e del 1918 nella casa di campagna della sorella prediletta Ottla, e fatti conoscere dall'amico Max Brod con il titolo, lontanissimo dallo stile di Kafka, di Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via.

Curata da Roberto Calasso, questa edizione degli aforismi di Zurau rivela fin dall'evidenza della forma grafica il carattere di unicità che questi scritti rivestono all'interno dell'intera opera kafkiana.

Infatti, qui non ci troviamo di fronte alle pagine fitte e avare di capoversi che caratterizzano le opere narrative di Kafka, e in primo luogo i suoi romanzi, ma a facciate per lo più bianche, dove ogni frammento respira isolato, quasi fosse una sentenza religiosa. D'altronde, come nota Calasso nel suo scritto critico posto a conclusione del libro, questi fogli "costituiscono l'unico testo di Kafka dove temi teologici vengono affrontati direttamente" e,ancora, "se una teologia di Kafka si dà, questa è l'unica occasione in cui Kafka stesso si è avvicinato a dichiararla."

E a fondamento di questo singolare abbozzo di teologia sembra esserci "qualcosa che non cede", qualcosa che ritorna in più frammenti e che Kafka chiamò, senza mai precisarne il senso, "l'indistruttibile". È grazie alla "fiducia in qualcosa di indistruttibile" dentro di noi che viviamo, ed è sempre l'"indistruttibile" che ci lega indissolubilmente agli altri uomini, perché è comune a tutti gli uomini, così come è comune in tutti gli uomini la tendenza dell'"indistruttibile" a rimanere nascosto, a celarsi. Ma forse è opportuno che sia così.

Forse, come afferma Kafka in uno dei più memorabili di questi frammenti, "in teoria vi è una perfetta possibilità di felicità: credere all'indistruttibile in noi e non aspirare a raggiungerlo."


(03/09/2004) - SCRIVI ALL'AUTORE


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