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NAIROBI: AVANTI ADAGIO
LE RESISTENZE AL PROTOCOLLO DI KYOTO

Si è conclusa in questi giorni a Nairobi la conferenza mondiale sul clima. Al di là di alcune decisioni positive, come i nuovi fondi per le energie alternative stanziati per alcuni paesi in via di sviluppo, si è evidenziata la pigrizia di diversi paesi a impegnarsi per il risanamento globale. In particolare il protocollo di Kyoto, uno dei perni della politica ambientale globale, conta ancora pochi e tiepidi sostenitori.

Stefano Zoja

Il protocollo di Kyoto barcolla, ma qualcuno che lo sorregge ancora si trova. Solo che la maggior parte dei paesi non collabora: cincischia, tentenna, o volta le spalle. Quasi l’acqua alta riguardasse solo Venezia, lo smog fosse un problema di Shangai e il surriscaldamento si facesse sentire solo per i contadini indiani. Il fatto è che anche Italia, India e Cina se la prendono con comodo, come fossero comunità di montanari menefreghisti, che non saranno raggiunti dai gas serra.
Così a Nairobi si è mostrata evidente la spaccatura disordinata fra i paesi che si impegnano, quelli che non possono e quelli che non vogliono. Con la bilancia che pende parecchio dalla parte di questi ultimi, in attesa che una nuova pesatura a fine 2012, quando scadranno i termini del protocollo, ci dica se qualcuno c’ha ripensato.

Esiste una fascia di paesi virtuosi, che sono in linea con gli impegni presi. Gran Bretagna, Germania e Francia hanno ridotto le emissioni, grazie a smantellamenti di fabbriche e impianti vetusti e agli investimenti sulle energie rinnovabili (ma anche sul nucleare). Quella che anni fa si era presa il nome di “vecchia Europa” ora guida il processo, frange i flutti di un’avanzata disordinata e svogliata perché faticosa.

Le ambizioni italiane a entrare nel direttorio dei paesi europei che contano si scontra ancora una volta con i dati: siamo rimasti indietro. L’Italia si impegna meno (e non cresce) ma reclama, in nome del suo passato e della demografia di stare al tavolo dei leader europei. Intanto però le nostre emissioni di gas serra sono addirittura in aumento dal 1997. Sosteniamo comunque di potere raggiungere gli obiettivi per il 2012, ma l’inversione di tendenza dev’essere formidabile.

C’è anche chi, pur avendo aderito al protocollo, già si arrende senza scuse: è il Canada, come noi decisamente indietro sul raggiungimento degli indici, ma che già ammette di non potere raggiungere i risultati previsti per il 2012. E si sfila.

Ma il vero grande nodo sono le decisioni di Cina, India e Stati Uniti. Le prime due in particolare, così come la gran parte dei paesi in via di sviluppo, sostengono apertamente di non volere entrare nel protocollo di Kyoto, né ora, né nelle sue fasi successive dopo il 2012. Il loro discorso suona più o meno così: “voi avete inquinato per primi, voi vi dovete impegnare per primi”.

Ma la Cina entro pochi anni supererà addirittura gli Stati Uniti quanto a impatto ambientale. Poi sarà il turno dell’India. Neo-colossi con pochissima voglia di prendere coscienza dei loro effetti decisivi sull’inquinamento globale. La pecunia non puzza, a differenza delle città.

Intanto, però, paesi occidentali come l’Australia e soprattutto gli Stati Uniti se ne lavano le mani. Le amministrazioni Clinton e Bush non hanno mai ratificato il protocollo. Forse qualcosa cambierà ora con il governo messo alle strette da una ridotta libertà di manovra politica e dalle pressioni internazionali. Sicuramente occorre che a breve termine siano proprio i paesi che trainano la globalizzazione a fare un passo avanti. Stati Uniti, Cina e India hanno dimensioni e responsabilità decisive.

C’è chi ancora dice “non è un problema” e chi alzando la voce sostiene “non è un problema nostro”. C’è che si la prende con alcuni limiti e vincoli tecnici del protocollo. Ma questo trattato potrebbe avere un altro nome e un’altra forma e non piacerebbe comunque. Molti paesi frappongono scuse o rifiuti: il mondo si riscalda a una velocità ancora poco percepibile ai piani alti dei palazzi.

Prossima tappa nel 2008, quando si decideranno le modalità concrete di attuazione del protocollo fino al 2012. Sarà anche l’occasione di una nuova conta.


(20/11/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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