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INDIA, BOMBAY, VIKHROLI. SULLE ORME DI PETER PAUL
Un viaggio… un itinerario inconsueto che ci fa scoprire l’India dal “didentro” attraverso sguardi, sorrisi, conquiste e una miseria che sembra virtuale se osservata con gli occhi di Peter Paul e dei suoi innumerevoli bimbi.

Daniel Tarozzi

India… Pochi paesi evocano così tanto solo nominandoli. Se dici India pensi ai santoni, alla spiritualità, alla povertà, alle caste, a Gandhi, alle bombe nucleari, all’induismo, ai meravigliosi templi, alle valli e ai fiumi, al Dio delle piccole cose di Arundathy Roy, alle contraddizioni, allo sviluppo impetuoso, agli ingegneri, ai ristoranti piccanti, al cinema di Bollywood. E si potrebbe continuare all’infinito. Dire India, quindi, significa tante, troppe cose, finendo forse col significare nulla.

Stringiamo allora il punto di vista. Proviamo a dire Bombay (o Mumbai, come si chiama oggi la megalopoli). Se dici Bombay… Beh, qui hai già meno punti di riferimento, almeno finché non ci sei stato. Forse conosci la Gate of India, monumento coloniale costruito sul mare. Sicuramente immagini tanto caos, tanta povertà, tanta gente.

Eppure, di Bombay ancora non hai immaginato niente. E allora devi andarci a Bombay. Ma non in vacanza. Devi andarci a vivere per 3, 5, 7, 10, 100 giorni. Devi prendere i loro treni, i loro taxi. Devi camminare nelle loro vie. Osservare le persone. Parlare con loro. Sentirne gli odori, ascoltarne i rumori, gustarne i sapori.

Allora forse comincerai a capire che non si può definire Bombay. Che è una città grande come una regione. Che per attraversarla ci vogliono letteralmente ore. E che qui, il bene più prezioso è lo spazio. Uno spazio assente. Uno spazio agognato. La gente è veramente tanta. Trabocca da tutte le parti. E trasmette l’impressione che prima ancora che i soldi o il lavoro, qui manchino proprio le case. A Bombay la gente vive ovunque. Nelle baracche, lungo le fogne, sui marciapiedi, persino in mezzo alle rotatorie.

Quando cominci a comprendere l’enormità e la vastità di questa “città” ti rendi conto che è impossibile e forse inutile cercare di vedere Bombay, di capirla, di conoscerla. Ti rendi conto che l’unica possibilità è viverne “dal di dentro” un pezzetto, una via, una piazza, un “piccolo” quartiere di periferia, cercando di farne un indicatore di ciò che accade in una delle città più grandi e caotiche del mondo.

Animati da questa scelta abbiamo intrapreso il nostro viaggio. Siamo quindi stati ospitati, grazie ad alcuni amici italiani che si occupano di “volontariato”, all’interno di una piccola “missione” cristiana, la Good Samaritan Mission

Mamma mia… già il nome scatena una serie infinita di associazioni… Fermi! Non seguitele! Aspettate un attimo e vi racconteremo quanto abbiamo vissuto, cercando di superare in velocità la corsa delle associazioni mentali.

Abbiamo detto una missione cristiana. E, in effetti, al suo interno troviamo delle immagini di Gesù, sentiamo recitare delle preghiere, vediamo dei “tipi” con delle tuniche che sembrano religiose…

Eppure… Eppure, la realtà si rivelerà molto diversa da quanto ci saremmo aspettati.
Peter Paul Raj gestisce questa missione da oltre dieci anni e lo fa con forza, volontà, determinazione e un pizzico di incoscienza. Sembra un uomo di fede. E in effetti lo è. Tuttavia, all’interno della sua missione, troviamo ragazze musulmane e induiste che lavorano fianco a fianco. Parliamo con una delle orfane “storiche”, ospite nella missione da oltre 10 anni, e apprendiamo che è induista. Parliamo con un altro ragazzo e scopriamo che fu lo stesso Peter Paul a guidarlo verso la comprensione della sua fede non cristiana. E ci rendiamo conto che ci troviamo di fronte ad un caso più unico che raro.


  
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