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LA MALEDIZIONE DI CHARLES BAUDELAIRE
UNA PACE NEGATA

Spesso, per divertirsi, i marinai prendono degli albatri, grandi uccelli dei mari, indolenti compagni di viaggio delle navi in lieve corsa sugli abissi amari. L’hanno appena posato sulla tolda e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso, pietosamente accanto a sé trascina come se fossero remi le grandi ali bianche. Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato! E comico e brutto, lui prima così bello! Chi gli mette una pipa sotto il becco, chi imita, zoppicando, lo storpio che volava! Il Poeta è come lui, principe delle nubi, che sta con l’uragano e ride degli arcieri; esule in terra fra gli scherni, non lo lasciano camminare le sue ali di gigante (Cfr. Charles Baudelaire, Opere, a cura di G.Raboni e G.Montesano, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2006).

Azzurra De Paola

Charles Baudelaire, il poeta maledetto. Maledetto, forse, non più di altri. Ma afflitto da nevralgie e difficoltà digestive. Tormentato da una misantropia dovuta ad un’eccessiva sensibilità, Baudelaire non trovò mai pace ai suoi deliri. Lo immaginiamo camminare afflitto, su spiagge deserte attorniato da gabbiani mentre, con i piedi scalzi, sfugge e si nasconde dai suoi debitori. Ma lo immaginiamo anche lontano, eccessivo e maldestro ad inseguire una felicità che non esiste. Come ogni poeta, cerca un luogo dove riposare gli occhi e le parole. Ma, come ogni poeta, è destinato a non trovarlo ed in questo consiste la sua maledizione: il luogo delle risposte è negato, talvolta, a chi ha più domande. Per chissà quale misterioso disegno, per chissà quale intreccio del Fato, ci si perde nella poesia e si affoga, credendo invece di esorcizzare la paura che incombe. Come un cane che si lecca le ferite per guarirle ed invece le infetta, Baudelaire scrive come spinto dal bisogno di comprendere l’umanità di cui non si sente parte, scavando nelle aberrazioni umane, nelle meschinità e nei miracoli della vita.

Fraintendendo probabilmente il senso delle sue poesie, la critica ha voluto forzatamente leggere tra le righe dei suoi testi, estrapolando interpretazioni che come serpenti senza testa si dimenano su loro stesse in spasmi inconsulti; bastava, invece, leggere e non anteporre la nostra interpretazione alla sua: la donna, il presunto odio del poeta per l’essere femminile, stando ai suoi scritti in modo letterale, è invece la constatazione del potere del doppio. Il doppio dell’anima, il bene ed il male, la vergine e la prostituta, Dio e Satana, luce ed ombra. Baudelaire era contro l’illuminismo e contro l’industrialismo americano, di conseguenza, amava la notte e la natura. Notte e natura: le condizioni primitive e le paure ancestrali che divorano l’anima dell’uomo mentre è ancora vivo, che lasciano lo scrittore sanguinante in agonie senza fiato. Mi fa paura il sonno, buco immenso, vago e orrendo, che porta chissà dove.

D’altra parte, anche Edgar Allan Poe, di cui Baudelaire era grande ammiratore, scrive che i sogni sono piccoli frammenti di morte. Fattostà che un poeta, il poeta che oggi è assurto a simbolo di una cultura tipica dell’ottocento francese, la cultura dei salotti contro le osterie americane, era allora un esiliato nella sua stessa terra. Rinnegato dalla famiglia e dalla società, con il ritratto muto di suo padre come unica compagnia, Baudelaire inseguiva se stesso ed i suoi tormenti nelle poesie che scriveva.

Quello che credeva di ottenere da questo scrivere lo possiamo solo supporre. Forse, come ogni poeta, non aveva altra scelta che scrivere. Benché la scrittura stessa fosse un fardello, l’aprirsi di nuovi varchi su una coscienza già dolorante: guardare il mondo con gli occhi arrossati dalle lacrime e costringersi- costretto dalla mano di Dio o di Satana- a guardare ancora, fino al disgusto. Nella poesia baudeleriana si esprime chiarissimo il confine labile di piacere ed odio, di passione violenta, infiammata che lascia cenere e morte intorno a sé. L’uso, talvolta abuso, di hascisc ne è la prova: rendersi conto di vivere in una condizione alterata della realtà, essere consapevoli di non vedere il mondo nello stesso modo in cui lo vedono gli altri, è per Baudelaire la condizione dell’essere artista; artista è colui che sa cogliere i miracoli del presente, le contraddizioni della vita e che si ricava paradisi artificiali all’interno del suo frammento di eternità.


(12/04/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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