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Acqua 

 
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Inoltre, l’81% dell’acqua potabile viene utilizzato per altri fini: il 14% viene assorbito dagli impianti di produzione di energia, il 19% dalle industrie e il 48% dall’agricoltura.

Sul fronte della depurazione le cose non vanno meglio: un terzo del liquido che attraversa la rete idrica italiana non viene depurato, mentre quasi un quarto non è neppure allacciato alla rete fognaria.

Lo Stato e le sue varie istituzioni dovrebbero, dunque, intervenire drasticamente sulla situazione per arginare sprechi che, a fronte di annuali e prevedibili situazioni d’emergenza, risultano quasi criminosi.

Ma noi cittadini non siamo meno colpevoli. Questa volta non possiamo rifugiarci dietro l’italica abitudine di prendersela con “i politici che sono tutti uguali e che pensano solo ai loro interessi”, ultimo retaggio di un passato monarchico in cui il nostro destino dipendeva da scelte imposte dall’alto. La colpa è anche nostra.

Ogni italiano, infatti, consuma 980 metri cubi di acqua all’anno, circa 200 litri al giorno. Nessuno in Europa consuma così tanto. Più che di consumi, quindi, si tratta di sprechi.

Sprechi di cui siamo protagonisti ogni volta che lasciamo il rubinetto dell’acqua aperto mentre vaghiamo per la cucina; o quando ci laviamo i denti senza chiudere l’acqua; o quando tiriamo lo sciacquone del water anche se non è necessario. Basterebbe installare un riduttore dei flussi nei rubinetti della cucina, il regolatore dell’acqua nei nostri gabinetti e un filtro di coscienza nelle nostre menti al momento di fare la doccia, per ridurre drasticamente i nostri consumi.

Ma queste poche azioni elementari richiedono una coscienza di fondo del mondo in cui viviamo, e del nostro essere all’interno di esso, che diventa la vera sfida dell’uomo del 2000.

Quando a giugno i segni della imminente siccità erano di fronte agli occhi di tutti, infatti, ho sentito decine di persone lamentarsi per la pioggia in quelle rare occasioni in cui è caduta dal cielo.

Ormai, noi misuriamo tutto rispetto ai nostri bisogni momentanei, senza alcuna prospettiva né sincronica (cosa accade in quel momento al resto dell’umanità) né diacronica (cosa accadrà domani a me e al resto dell’umanità). Cosi, se piove e non ho l’ombrello diventa una scocciatura, anche se quella pioggia potrebbe significare la verdura e la frutta nel mio piatto e in quello dei miei concittadini nei prossimi mesi e l’acqua nelle case di molti italiani.

Allo stesso modo, quando ho caldo e accendo il condizionatore d’aria, non mi preoccupo del fatto che quell’azione, paradossalmente, comporterà un’ulteriore innalzamento delle temperature con nuovi sconvolgimenti climatici. I condizionatori d’aria, infatti, consumano moltissima energia elettrica che, a sua volta, è per gran parte generata da fonti inquinanti che provocano l’effetto serra.

Con questo non vogliamo dire di gettare via i condizionatori e di tornare a vivere nelle grotte, ma almeno di farne un uso cosciente, accendendoli solo quando non se ne può fare a meno. Essere coscienti non significa necessariamente rinunciare ai propri comfort. Ma deve almeno significare rinunciare agli sprechi.

Solo quando avremo conquistato la coscienza del nostro essere e del nostro rapporto con la madre terra avremo la forza di guardare in faccia la nostra classe dirigente e di intimarle di risolvere i problemi strutturali che ci attanagliano o di andare a casa.



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