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QUALCUNO FERMI LA DEFORESTAZIONE. CAUSE E EFFETTI
La Terra è malata e sta facendo di tutto per comunicarcelo. Se continuiamo ad ignorare i segni, l’organismo-Terra sarà costretto a reagire e i primi a rimetterci saremo proprio noi.
Vediamo quali sono le cause e quali gli effetti della deforestazione.

Rachele Malavasi

Nell’ultimo secolo la Terra ha subito un tracollo ecologico disastroso. La causa principale sta nella distruzione degli habitat naturali ed in particolare nella deforestazione indiscriminata (Massa, 1999).

Gli impatti più drammatici si riscontrano nelle foreste tropicali, che coprono il 6% circa delle terre emerse: in queste zone la deforestazione procede ad un ritmo incalzante, pari a circa 150.000 km2 l’anno (metà dell’estensione dell’Italia).

Decine di milioni di ettari di foresta tropicale sono destinati alla produzione agricola. Il boom brasiliano della soia (destinata sia ai capi di bestiame europei e nordamericani che all’uomo) nel Mato Grosso e nel Parà è la causa principale della recente impennata nella deforestazione, aumentata di oltre il 2% nel biennio ‘02-‘03 rispetto ai due anni precedenti (le coltivazioni di soia raggiungono, nel solo Brasile, 60 milioni di ettari) (Francone, Carne e fame).

Per non parlare poi delle coltivazioni di rendita: caffè, the, chinino, ananas, banane, agave, cacao e gomma, che determinano la perdita di enormi aree di foresta. Lo sfruttamento delle terre per le coltivazioni di rendita, tra l’altro, aumenta i prezzi delle derrate agricole, il cui acquisto diviene impossibile per i cittadini meno facoltosi – circa il 90% della popolazione.

Se questo tipo di agricoltura è volto direttamente a fini commerciali, l’agricoltura di sussistenza ha semplicemente il fine di mantenere il nucleo familiare. Eppure, anche questa pratica è diventata insostenibile. Fin dai tempi più antichi, la tecnica agricola più diffusa nelle regioni tropicali del Sud America è il cosiddetto slash-and-burn, taglio-e-incendio: i gruppi nomadi locali penetrano nel cuore della foresta, bruciano un’area di piccola estensione e vi si stabiliscono per due o tre anni. In questo periodo, il terreno viene sfruttato per le coltivazioni finché i raccolti non diventano troppo scarsi, quindi viene sottoposto al pascolo.

A causa della povertà del suolo tipica delle foreste tropicali, il raccolto ottenuto basta appena per sfamare il nucleo familiare, tagliando ogni possibilità di sfruttamento economico. Esaurite le risorse del terreno, gli agricoltori itineranti cercano un nuovo sito da incendiare e sfruttare, in un circolo vizioso senza fine.

L’esplosione demografica, le guerre civili e la spartizione ineguale delle terre (in Brasile, il 5% dei capofamiglia ha il possesso del 70% delle terre – Massa, 1990) hanno incrementato drasticamente questo fenomeno, rendendolo insostenibile.

Mentre un tempo le aree disboscate avevano il tempo di ricostituirsi (in 20-25 anni), ora i cicli di sfruttamento sono diventati troppo ravvicinati. In questo contesto i proprietari terrieri, forti della loro influenza politica, spingono i governi locali ad incentivare la colonizzazione di nuove terre, piuttosto che una ripartizione più equa di quelle già disboscate. Nel 1960 il governo brasiliano destinò ai piccoli coltivatori la parte settentrionale della foresta amazzonica: in dieci anni andarono persi 115.000 km2 di foresta tropicale (e con essa svariate specie animali endemiche).

Parallelamente all’aumento demografico è cresciuta la richiesta di legname, sia come legna da ardere destinata ai paesi in via di sviluppo, sia come legname industriale per i paesi sviluppati (Massa, 1990). In una foresta tropicale, solo il 5% degli alberi può fornire il legname adatto all’industria, per cui il suo commercio sarebbe del tutto sostenibile. Purtroppo gli alberi vengono spesso abbattuti senza criterio, danneggiando anche quelli privi di valore commerciale.

Formare i taglialegna al riconoscimento e cura degli alberi da conservare è troppo costoso, per cui si procede ad un abbattimento di massa.


  
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