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RICORDO DI UN VIAGGIO IN AFRICA
Sono passati sette anni, ma l'Africa non puoi dimenticartela. Tra immagini e sensazioni vorrei descrivere brevemente questa "antica" avventura in Tanzania.

Francesca Giomo

TANZANIA MON AMOUR-racconto di un viaggio
Strano riavvicinarsi, dopo 5 anni, a un luogo che hai già tramutato in sogno. Ora scrivo di un settembre del 1999, di 20 giorni trascorsi in Africa, in Tanzania, 20 giorni in cui non sono riuscita a conoscerla, ma durante i quali sono stata avvolta dalla sua anima, dal suo spazio e dalla sua infinita possibilità di esistenze.

Prima impressione: forte attrazione verso la terra, orizzontalità, rami di alberi che si allungano paralleli al terreno, sono enormi giganti, il cielo sprofonda verso un punto di fuga infinito. La forza di gravità attira verso di sé l’essere più invisibile e il moto degli animali è lento e inerziale. I suoi paesaggi sono popolati da forme che giocano con la loro bellezza. Si ha una sensazione certa in quella parte di mondo; la terra é una sfera e il cielo, a tratti, la sfiora.

PRIMA TAPPA
3 settembre 1999, appuntamento a Dar Es Salam, la capitale economica del Paese, con due amici. Il viaggio inizia. Una piccola stanza rettangolare, munita di ventilatore, zanzariera, scrivania, armadio e mensola a 3000 scellini a notte (ca.3,50 euro), presso l’Università di architettura e ingegneria, ci accoglie i primi giorni, mentre tra una visita e l’altra nei dintorni del mercato dell’Ebano, decidiamo il nostro itinerario.


CONSIDERAZIONI, DUBBI E PROGETTI
Abbiamo lasciato l’Italia senza organizzare nulla, in mano solo un biglietto aereo andata-ritorno, cartina e “il libro” (la guida Lonley Planet sulla Tanzania). Se non si è partiti con un’organizzazione, gli itinerari di esplorazione dell’interno sono molteplici, basta non rischiare toppo. Una delle possibilità da noi contemplata era quella di raggiungere il lago Tanganika, dall’altra parte del paese al confine con lo Zaire. Servendoci della Central Line, in 40 ore di treno, avremmo attraversato da parte a parte(est-ovest) la Tanzania, per raggiungere Kigoma, piccolo porto-città sulle sponde del lago, circondata da una zona militare. Il tutto per esplorare il Gombe Stream Park, centro di protezione e studio degli scimpanzé nei pressi del lago, zona ancora poco battuta dai turisti e abbastanza rischiosa, da percorrere seguendo una guida munita di macete per aprirsi la strada tra la foresta, nel caso non si fosse in grado di usarlo. Abbiamo dovuto abbandonare il progetto che si presentava senza limiti di tempo e costi. Infatti, il treno partiva solo tre giorni alla settimana alle 18.00, sia da Dar che da Kigoma, spesso era in ritardo e nessuno era in grado di dirci quando passava, il rischio era che le attese si prolungassero di giorno in giorno e, per non farselo scappare, unico luogo di attesa rimaneva la stazione. Scartata, quindi, l’ipotesi scimpanzè, aspettammo un accadimento, un segnale, una traccia che ci potesse condurre verso l’”esperienza perfetta”. In Africa, bisogna saper attendere e diluire la propria volontà nel tempo, senza opporre resistenze.

UN INCONTRO
Così, per caso, abbiamo incontrato Omar Kiure, studente universitario e parente dei proprietari della Peacock, ottima agenzia di safari ad Arusha, cittadina commerciale a nord del Paese. Sedutosi con il suo bicchiere per due sere al nostro tavolo, attraverso diverse contrattazioni e promesse(in cambio; una cassetta in inglese di “La vita è bella”), siamo riusciti a ottenere un safari a buon prezzo nei parchi del nord. Il giro prevedeva 4 giorni di visita, più due di viaggio per raggiungere il luogo. Per Arusha da Dar, abbiamo provato la particolare esperienza di una Tanzania- grande città e di un pullman- autobus di linea, tenuto a fermarsi ogni quarto d’ora, raccogliere qualcuno e ripartire. A prima vista, un safari organizzato potrebbe sembrare troppo turistico e quasi irreale, invece, se l’agenzia a cui vi affidate e il periodo sono buoni, è un’esperienza impressionante. Importante per noi è stato anche il contatto e il dialogo con la nostra guida, Wellkins, il nostro chef, Magman. Guida e chef , in questo tipo di safari, sono necessari, per questioni di tempo, sicurezza e controllo da parte loro non solo sulla nostra sicurezza, ma anche per l’incolumità dei parchi, che devono rimanere intatti. Vi sono, infatti, luoghi deputati, conosciuti da esperti, per campeggiare, fuori dai quali non è possibile scendere dalla jeep. Per accedervi soli è necessario avere permessi e preparazione.

I PARCHI
Lake Manyara, Ngorongoro, Serengeti, le nostre tappe. In questa zona della Tanzania, vivono i Masai, antica popolazione di guerriglieri, oggi, pastori di bestiame. Vestiti di una coperta rossa e sandali costruiti con copertoni usati, percorrono a piedi infiniti paesaggi.
Qui la sensazione di un magico dialogo tra l’uomo e la natura, dove visioni e sogni divengono realtà. C’é bellezza nel silenzio di questi luoghi senza tempo, nella diversità di mondi che convivono uno accanto all’altro.
Sei dall’altra parte della terra e i baobab sembrano radici di giganteschi alberi sprofondati da nord a sud dell’emisfero, assurde presenze antiche, che compaiono a tratti. E’ un insieme di vita e di morte, di forte sensazione vitale e di morte crudele, come l’immagine di un veccho leone sdraiato per terra sofferente e sanguinante dopo l’attacco di un’istrice.
Durante un primo e rilento percorso tra una specie di Eden, con erba verde e cespugli da cui spuntano curiose antenne di giraffa, improvvisamente compare un lago, il Lake Manyara, che sembra neve da cui salgono a fatica rami secchi e neri, una popolazione intera di fantasmi immobili e, sulla riva, babbuini che lanciano nello spazio urla. Mentre il sole compare attraverso una luce fluorescente sull’erba, poco più in là, uno gnu pascola indifferente e ,dietro, mura di giungla oscura. Qualcosa ti turba profondamente, forse, la sensazione di una terra in cui non riesci a immaginare l’inizio e la fine e sopra di te solo un cielo immenso, esteso orizzontalmente, che si apre a quinte. Gigantesca visione.

ANCORA A DAR ES SALAM
Finito il safari siamo ripassati per Dar. Solo attraverso molteplici sguardi, riesci a scorgere nella città un ordine, un senso e non tutto ti sembra un delirio come la prima volta, non tutto si confonde in nomi e occhi sconosciuti. Ma non è facile sapersi muovere e pensare attraverso la bellezza, la confusione, la gioia, la povertà e la ricchezza, c’è ambiguità e contraddizione. Forse è una danza dove non esiste una forma, ma solo l’illusione di un infinito moto.

ZANZIBAR
Zanzibar è l’ultima nostra tappa, una piccola isola dov’è racchiuso il “quid” della terra ferma di fronte a lei, miracoloso insieme di distese infinite di sabbia bianca. Su questa isola, la sensazione che non ci ha mai abbandonati è quella di essere capitati in una pièce teatrale, dove siamo i burattini e qualcuno ci sta facendo giocare. Sembra di essere liberi, ma ogni tua scelta è guidata da una strana “necessità”. Il caso regna, padrone indiscusso. Basta svegliarsi la mattina e concedersi al giorno, improvvisamente ti trovi catapultato su di una barca per un’isola, su un dalladalla (piccolo pulmino) verso l’interno o su di una spiaggia “nonsisadove”, abbandonati da un ammutinamento dell’equipaggio. In sette giorni puoi diventare il migliore arafichi (amico in Swaili) di tutti e trovare qualcuno come Sultan, un musulmano – africano che ti guida per Stone Town, la eccentrica città bianca.

DUE PAROLE PER FINIRE
Ho parlato di luoghi e forme di una Africa appena assaggiata, di un paese contradditorio, dove i colori e le voci per strada ti fanno dimenticare la sua storia. Forse è necessario partire senza sapere nulla, guardare, pensare e farsi avvolgere dalla vita e dalle esistenze del suo popolo. Bisogna dimenticare l’occidente, il nostro occidente alla continua ricerca di una bellezza, cui loro non aspirano perché non esistono senza. Veli azzurri, blu, viola, rossi e gialli si muovono nei campi e ai bordi delle strade, sotto, sguardi duri e profondi di donna che diventano innocenti e infantili se ricevono un sorriso. La bellezza è un loro attributo endemico, è in loro inconsapevolezza, come in un pavone a coda aperta che cammina in mezzo a barattoli di latta. Poi bisognerà tornare per ripartire di nuovo e capire se hanno realmente bisogno di noi, se possiamo veramente fare qualcosa per loro dopo che , con presunzione, abbiamo interrotto i loro equilibri. Ora, mentre fuori, qui, la strada viene agitata da gente indaffarata e in ritardo, in coda al casello a una cassa di supermercato, un masai vestito di rosso, là, sta attraversando un luogo deserto e infinito, mentre un leopardo dorme sdraiato su di un ramo, immerso nel lento respiro del suo corpo.


(25/08/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


  
  
 
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