30 Novembre 2009
Manuale Pratico della Transizione. Il libro per cominciare ad agire

Manuale Pratico della Transizione

Dalla dipendenza dal petrolio

alla forza delle comunità locali

Rob Hopkins

288 Pagine, illustrato, € 18,50

“Se la vostra città non è ancora in transizione, ecco una guida per farcela diventare. Abbiamo poco tempo e molte cose da fare”.
Richard Heinberg, Post Carbon Institute, Santa Rosa, California, autore di “Power Down”

Cambiare prospettiva. Guardare gli eventi da un altro punto di vista. Trasformare una situazione apparentemente negativa in una grande occasione di cambiamento. Prepararsi alla transizione. Perché un cambiamento ci sarà di certo e coinvolgerà il nostro stile di vita, fino ad ora basato sulla grande disponibilità di combustibili fossili a buon mercato. E oggi, che il picco del petrolio non è più una teoria ma un’osservazione basata su dati storici, un mutamento radicale della nostra prospettiva è una necessità. O meglio un’opportunità.
Viviamo in un mondo totalmente dipendente dal petrolio e abbiamo raggiunto questa condizione senza pianificare cosa avremmo fatto dopo. Molte persone non pensano ancora a cosa succederà quando il petrolio terminerà o sarò diventato troppo costoso, ma un nuovo modo di pensare e agire ci mostra già come i cambiamenti inevitabili e profondi che ci attendono possano avere conseguenze positive. È l’approccio della transizione.
Ogni villaggio, città o metropoli può avviarsi verso la transizione, ovvero verso la riduzione del consumo di energia e verso l’autosufficienza.  E ognuna di queste realtà vivrà direttamente le grandi opportunità che abbiamo davanti a noi: far rinascere le comunità locali, che produrranno cibo, energia e sistemi di edilizia propri. Incoraggiare le monete locali, per mantenere la ricchezza dove viene prodotta . Migliorare le capacità pratiche delle persone , in modo che possano riprendere il controllo delle loro vite .
Dal suo fondatore, il testo fondamentale del movimento delle Transition Towns . Una guida pratica e concreta al processo di transizione . Un modo nuovo, propositivo realista e molto convincente di rispondere al futuro che ci aspetta.

L’opera contiene un’appendice sulla nascita e lo sviluppo del Movimento della Transizione in Italia.

Rob Hopkins è il co-fondatore del Transition Network, la rete che coordina il movimento della Transizione. Attualmente vive  a Totnes, nel Devon, la prima Transition Town della Gran Bretagna. Si dedica con passione all’orticoltura e alla diffusione della filosofia della transizione.

Indice


Prefazione – di Richard Heinberg
Introduzione – Allettanti visioni di resilienza

Prima parte – La testa
Perché  il picco del petrolio e il cambiamento climatico rendono inevitabile il “piccolo”

Capitolo 1 – Il picco del petrolio e il cambiamento climatico: i due grandi pericoli dei nostri tempi
- Che cos’è, il picco del petrolio? Perché il problema non sarà l’ultima goccia
- Alcuni indicatori fondamentali ci dimostrano che stiamo raggiungendo il picco
- Quando si verificherà il picco?
- Il cambiamento climatico
- L’effetto serra
- Esiste una soglia di sicurezza?
- Le connessioni tra il picco del petrolio e il cambiamento climatico
- Il picco del petrolio può effettivamente coinvolgere le persone più del cambiamento climatico?
- Le contraddizioni del “Documento Hirsch”

Capitolo 2 – La vista dalla cima della montagna
- Valutare possibili soluzioni
- Perché un futuro con minori consumi energetici alla fine sarà inevitabile
- Perché “decrescita energetica”?

Capitolo 3 – Perché ricostruire la resilienza è importante tanto quanto tagliare le emissioni di gas serra
- Che cos’è la resilienza?
- Le tre caratteristiche fondamentali di un sistema resiliente
- La vita prima del petrolio non andava poi così male
- L’analogia della torta
- Echi di un passato resiliente
- Possiamo apprendere qualcosa dall’ultima “mobilitazione in tempo di guerra” della Gran Bretagna?

Capitolo 4 – Perché il “piccolo” sarà inevitabile
- Rilocalizzazione.
- I pericoli del restare aggrappati all’illusione delle grandi dimensioni
- “Dall’alto verso il basso” o “dal basso verso l’alto”?
- In che cosa può essere d’aiuto il Governo?

Riassunto della prima parte


Seconda parte – Il cuore
Perché è fondamentale avere una visione positiva

Capitolo 5 – Come influiscono su di noi il picco del petrolio e il cambiamento climatico.
- La “Sindrome da stress post-petrolifero”

Capitolo 6 – Capire la psicologia del cambiamento
- Intervista al dr. Chris Johnstone.
- Il modello FRAMES

Capitolo 7 – Sfruttare il potenziale di una visione positiva
- Perché le visioni funzionano
- Capitan Futuro – il mago della scienza
- Visioni di benessere

Capitolo 8 – Una “Visione per il 2030”: guardare indietro dopo aver completato la transizione
- Cibo e agricoltura
- Medicine e salute
- Istruzione
- Economia
- Trasporti
- Energia
- Edilizia

Capitolo 9 – Kinsale, un tentativo di realizzare una visione comunitaria
- Il “Progetto per la decrescita energetica” di Kinsale: come è nato
- Quattro lezioni apprese dal “Progetto Kinsale”
- Riflessioni sul progetto attuato a Kinsale
- Cosa sta succedendo, ora, a Kinsale?

Riassunto della seconda parte


Terza parte – Le mani
Partire dalle ipotesi di azione: esplorare il modello della Transizione per ispirare la costruzione della resilienza locale

Capitolo 10 – Il concetto di Transizione
- Le basi filosofiche
- I sei principi che stanno alla base della Transizione
- L’idea del “Programma di supporto ai progetti”
- Il problema della dimensione
- Il legame tra le Iniziative per la Transizione e la politica locale

Capitolo 11 – Come dar vita a una Iniziativa per la Transizione
- I sette “ma”.
- I “dodici passaggi della Transizione”

Capitolo 12 – Il primo anno della Transition Town Totnes
- Per prima cosa, una piccola introduzione
- Ora, un po’ di storia.
- Alcune attività concrete della TransitionTown Totnes
1 - Analisi della vulnerabilità al petrolio
2 - Formazione per la decrescita
3 - Totnes, la capitale britannica dei noci
4 - Il piano per il cibo locale di Totnes
5 - La “sterlina di Totnes”
6 - I “Racconti sulla Transizione”
7 – TTT Gruppi casa

Capitolo 13 – Il contagio virale dell’idea di Transizione
- Transition Penwith
- Transition Falmouth
- Transition Lewes
- Transition Ottery St Mary
- Transition Bristol
- Transition Town Brixton
- Transition Forest of Dean

Conclusioni

Appendici
Appendice 1 – Il questionario sul consumo energetico
Appendice 2 – I “quattro passaggi che ogni progetto dovrebbe attraversare” - di John Croft
Appendice 3 – Compito – Realizzare il “Piano di azione per la decrescita energetica”
Appendice 4 – Schema del “Piano di Azione per la Decrescita Energetica”
Appendice 5 – Come diventare una Iniziativa per la Transizione
Appendice 6 – Un esempio di comunicato stampa
Appendice 7 – Formazione sulla Transizione

Fonti

Indice dei nomi


Strumenti per la Transizione
N. 1 – Metodo per comprendere da soli il picco del petrolio
N. 2 – L’esercizio sulla rete della resilienza
N. 3 – Una comunissima patata diventa un utile strumento per spezzare la nostra dipendenza dal petrolio
N. 4 – Lo “Schema di lavoro”: uno strumento per chiarire la vostra visione e renderla reale – di Naresh Giangrande
N. 5 – Guide per giri turistici post-picco
N. 6 – Utilizzare le visioni come strumento per informare gli studenti delle scuole sul picco del petrolio
N. 7 – Come organizzare al meglio i vostri eventi pubblici
N. 8 – Scrivere un buon comunicato stampa
N. 9 – Progettare riunioni produttive
N. 10 – Come gestire un evento “Open Space”
N. 11 – Come gestire una discussione “fishbowl”
N. 12 – Come gestire un evento “World Cafè”

Estratto

  Il picco del petrolio e il cambiamento climatico

I due grandi pericoli dei nostri tempi

     

Che cos’è il picco del petrolio? Perché il problema non sarà l'ultima goccia

  Ci sono molte persone più qualificate di me, per parlarvi del picco del petrolio 2 . Non ho mai lavorato nell'industria petrolifera, non sono un geologo e, a parte il fatto di essere cresciuto in quello che oggi, in tutto il mondo, è uno dei Paesi che maggiormente e più rapidamente  consumano i combustibili fossili – il Regno Unito – non ho esperienze in prima persona nel settore petrolifero o geologico. Prima del settembre 2004, non avevo mai sentito parlare di questo problema; avevo sempre pensato che il petrolio, per il nostro sistema economico, funzionasse come la benzina nel serbatoio di un'autovettura: che il serbatoio sia pieno o quasi pieno, il motore va ugualmente. Avevo sempre creduto che le cose sarebbero potute continuare così fino a che, in futuro, in un giorno lontano, qualcuno avrebbe versato l'ultima goccia di benzina nel serbatoio della sua autovettura e tutto sarebbe finito lì, un po' come accade per l'ultimo albero abbattuto nel libro The Lorax del dr. Seuss3 . Solo più tardi scoprii che ero completamente fuori strada e che dovevo approfondire le mie conoscenze su questo cruciale problema. Studiare la tematica del picco del petrolio, si è rivelato illuminante per il mio modo di vedere il mondo e i suoi meccanismi: la precarietà di quello che noi intendiamo come modo di vivere di una società e gli elementi che dobbiamo sviluppare per mettere in atto una risposta comunitaria. Non prendete le mie parole come oro colato, leggete e informatevi da altre fonti. Il cambiamento climatico, un tema di grande importanza, è solo la metà di questa storia, ma maturare un'attenta conoscenza del problema del picco del petrolio è altrettanto importante: insieme, vengono chiamati “i problemi gemelli degli idrocarburi” e sono talmente interconnessi che vederne uno isolato dall'altro lascia nell'oscurità buona parte della storia. Senza il petrolio a basso costo, non stareste leggendo questo libro: la distribuzione centralizzata dei libri sarebbe impossibile; se ne riceveste una copia, sareste in possesso di una delle poche disponibili e la considerereste una rarità; io non sarei stato in grado di scriverlo sul mio portatile, in una casa calda, ascoltando i miei CD. Se cominciate seriamente a pensare in questo modo, vi renderete conto che, al di là del fatto che questo libro non sarebbe esistito, molte delle cose che ci circondano sono collegate alla disponibilità di energia a basso costo, sia per la loro produzione che per la loro distribuzione. I vostri mobili, i vostri divertimenti, i vostri passatempi, i suppellettili nelle vostre case, il cibo, le medicine, i cosmetici, sono tutte cose collegate a questo miracoloso materiale. Non è una critica, è semplicemente una faccenda che riguarda tutti noi, e d è così da sempre, per quanto ognuno di noi può ricordare. È quasi impossibile immaginare una situazione diversa. È molto facile capire come mai ci troviamo in questa situazione. Il petrolio è una sostanza straordinaria. Deriva dallo zooplancton e dalle alghe preistoriche, che si sono formati sui fondali degli oceani da 90 a 150 milioni di anni fa, per ironia durante due periodi di riscaldamento globale. Questo materiale è rimasto sul fondo dell'oceano, è stato ricoperto da sedimenti derivanti dai terreni circostanti, scendendo così sempre più in profondità, e, nel corso del tempo, è stato sottoposto alla pressione fortissima dei processi geologici, trasformandosi alla fine in petrolio 4 . Anche il gas naturale si è formato secondo un processo similare, ma è generato maggiormente da materiale vegetale o da combustibili che si sono gassificati quando sono sprofondati nella crosta terrestre. Un gallone di petrolio contiene l'equivalente di 98 tonnellate di materiale organico e algoso originale, che si è formato attraverso i millenni e ha immagazzinato un'enorme quantità di energia solare, attraverso le onde degli oceani preistorici 5 . È per questo che spesso i combustibili fossili vengono definiti «l'antica luce del sole». Sono straordinariamente densi di energia. Mi piace paragonare i combustibili fossili alla pozione magica di Asterix e Obelix. Gli eroici galli di Goscinny e Uderzo vivono nell'unico villaggio non sottoposto all'occupazione di Roma, grazie a una bevanda miracolosa, che deriva da una ricetta segreta del loro druido Getafix. Questa magica bevanda dona loro poteri sovrumani e li rende invincibili, anche di fronte alle legioni di Giulio Cesare. Come la pozione di Asterix e Obelix, il petrolio ci rende più forti, veloci e produttivi che mai, mettendo la nostra società in grado di produrre una quantità di lavoro maggiore di 70-100 volte, rispetto a una società che dovesse farne a meno 6. Abbiamo vissuto con questa pozione per 150 anni, proprio come Asterix e Obelix, pensando che sarebbe durata per sempre, e abbiamo organizzato un nostro modo di vivere totalmente dipendente da essa. Si stima che 40 litri di benzina nel serbatoio di un'autovettura contengano un quantitativo di energia pari a 4 anni di lavoro umano manuale 7 . Nel mondo occidentale, consumiamo una media di circa 16 barili di petrolio all'anno a testa; meno che in Kuwait, dove ne consumano 36 – ma che ci fanno, lo usano per farci il bagno? – ma molti di più che in Cina (2 barili) e ancora di più rispetto all'India (1 barile) 8 . La quantità di energia necessaria per uguagliare quella consumata in media da un cittadino statunitense è pari a quella che verrebbe prodotta da 50 persone in bicicletta, che pedalassero furiosamente, giorno e notte, nel giardino di casa nostra 9 . Siamo diventati talmente dipendenti da queste fonti di energia che qualcuno ci ha definiti «schiavi dell'energia» 10 ; ma dovremmo essere grati e ritenerci estremamente fortunati di vivere in un periodo della storia nel quale abbiamo accesso a una quantità di materiali, prodotti e possibilità, che i nostri predecessori nemmeno potevano immaginare. La figura 1 mostra uno dei più esplicativi grafici di quello che potremmo definire “l'intervallo petrolifero” 11 , il breve periodo di 200 anni, nel quale abbiamo estratto tutto questo meraviglioso materiale dalla terra e l'abbiamo bruciato. Considerato in un arco di tempo di migliaia di anni, è veramente un breve periodo. Il petrolio ci ha permesso di creare tecnologie straordinarie, di dar vita a incredibili culture, di compiere sorprendenti scoperte, di mettere piede sulla Luna e di far nascere la Pop Art. La domanda è: questo può continuare per sempre? Ovviamente no. Come accade per ogni materiale esauribile, più velocemente lo consumiamo, più velocemente finirà. Siamo come Asterix e Obelix, che si rendono conto, con una sensazione di vuoto nello stomaco, che il calderone della pozione che hanno davanti è l'ultimo rimasto. Stiamo cominciando a intravvedere, in lontananza, la possibilità di vivere senza petrolio. Il punto centrale della questione è che il momento importante non sarà quello in cui useremo l& #39;ultima goccia di petrolio, ma quello del “picco”, in cui capiremo che, da quel punto in poi, ogni anno ci sarà sempre meno pozione e che la pozione, a causa della sua scarsità in continuo aumento, si trasformerà sempre di più in un bene costoso. Nel 2008 il petrolio ha superato la fatidica soglia dei 100 dollari al barile. Chris Skrebowski, editore della rivista Petroleum Review , definisce il picco del petrolio come «il punto in cui un ulteriore aumento della produzione di petrolio diventa impossibile, perché i nuovi flussi di produzione sono esattamente compensati dal declino della produzione generale» 12 . È il punto di mezzo, il momento in cui la metà delle riserve è stata già utilizzata; a volte, chiamarlo “il punto di picco” o “il punto massimo” è importante, per capire di cosa stiamo parlando. È un momento di massima importanza storica. Tutta la strada fatta ci ha portati al picco; fin da quando Drake ha estratto la prima goccia di petrolio in Pennsylvania, nel 1859, la domanda ha guidato l'offerta: quanto petrolio il sistema economico mondiale richiedeva, tanto l'industria petrolifera ne forniva. Le swing producers , le nazioni che possedevano riserve ampie e potevano aumentare la produzione secondo le richieste, assicuravano che le forniture erano all'altezza delle aspettative. Durante gli anni '30 e '40, erano gli Stati Uniti a svolgere questo ruolo, negli ultimi anni lo ha fatto l'Arabia Saudita. Una volta oltrepassato il picco, sarà l'offerta a guidare la domanda, e ciò significa che il prezzo salirà rapidamente e costantemente e che le persone che avranno il controllo sulle riserve rimanenti accumuleranno enormi ricchezze.    

Alcuni indicatori fondamentali ci dimostrano che stiamo raggiungendo il picco

  Come possiamo sapere se ci stiamo avvicinando al picco? Per prima cosa, c'è un indicatore importante che ce lo svela e che segue lo stesso andamento nella maggior parte delle nazioni produttrici: il picco nelle scoperte tende ad avverarsi con un anticipo do 30-40 anni, rispetto a quello della produzione. Ovviamente, bisogna prima scoprire i giacimenti e poi si può produrre il petrolio, e naturalmente si tende a consumare prima i giacimenti più grandi e più facili da raggiungere. Si nota questa tendenza nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Russia e in molti altri Paesi produttori, nei quali ora assistiamo a una fase declinante di produzione di petrolio. Visto che nel mondo si è assistito al picco delle scoperte nel 1965, possiamo, se l’analisi è valida, prevedere che siamo vicini anche a quello della produzione. Il primo a osservare questo fenomeno è s tato il geologo M. King Hubbert, il quale nel 1956 predisse che gli Stati Uniti avrebbero raggiunto il picco della produzione nel 1970 (mentre aveva già previsto il picco delle scoperte negli anni '30). Venne deriso, ma in realtà aveva ragione 13 .Un altro indicatore è che, a partire dal gennaio del 2005, la produzione mondiale di petrolio si è attestata tra gli 84 e gli 86 milioni di barili al giorno (MBD), a fronte di altissimi costi ambientali 14 ; questo, mentre l'economia globale vuole disperatamente aumentare i consumi – l'Agenzia internazionale per l'energia ha previsto che la produzione mondiale necessiterà di 120 MBD, cifra   presa seriamente in considerazione dall'industria – e il prezzo del greggio è salito dai 12 dollari del 1998 ai quasi 120 dollari al barile del giugno 2008. Questa incapacità di far fronte a una domanda in costante crescita (v. figura 4) è un forte indicatore di come i limiti geologici, ancor più di quelli economici o sociali, stiano diventando sempre più determinanti 15 . Le scoperte sono costantemente calate, dopo aver superato il loro picco nel 1965. Questo fenomeno è dovuto anche al fatto che, nonostante si continui a ottenere petrolio, la grandezza media dei giacimenti che si stanno scoprendo è in costante calo. Nel 1940, la misura media dei giacimenti scoperti nei cinque anni precedenti era di 1,5 miliardi di barili, nel 1960 era scesa a 300 milioni, nel 2004 era di soli 45 milioni e continua a diminuire 16 . Durante l'“età del petrolio”, inoltre,sono stati scoperti 47.500 giacimenti petroliferi, ma i 40 più grandi sono già stati sfruttati, per un totale del 75% di tutto il petrolio finora trovato 17 . Come mostra la figura 2, il calo delle scoperte è stato accompagnato da un costante aumento dei consumi. Il 1981 è stato l'anno in cui è cominciato questo distacco, che è costantemente aumentato fino ai giorni nostri, in cui consumiamo circa 4 barili per ogni barile scoperto 18 . In pubblico, le compagnie petrolifere parlano di ampie riserve e di un futuro splendente. La BP e la “Aramco” affermano che non ci sono problemi legati alle scorte; mentre la “Exxon” dice che non ci sono segnali di avvicinamento al picco. In segreto, però, sono sempre più preoccupati per i problemi che devono affrontare. Nel novembre del 2006, si è tenuta a Colorado Springs la “Conferenza dell'istituto di ricerca Hedberg sulla comprensione del mondo del petrolio” 19 . La presenza all'evento era possibile solo su invito e vedeva riunite personalità provenienti da tutto il mondo dell'industria petrolifera, oltre a esponenti di istituti come l'Istituto Geologico degli Stati Uniti (USGS), l'Agenzia internazionale per l'energia e l'Istituto per l'informazione sull'energia; né la stampa, né esponenti della cittadinanza erano ammessi. La discussione si è sviluppata sulla falsariga del «la mia compagnia dice così, mentre i dati affermano l'opposto». Lo scopo della conferenza, infatti, era quello di colmare l'enorme divario, a proposito della disponibilità delle future riserve, tra ciò che, da un lato, affermava l'Istituto Geologico degli Stati Uniti, il rappresentante più ottimista, e ciò che, dall'altro, affermavano tutte le altre organizzazioni. Le industrie petrolifere presentarono le linee sostenute dalle loro propriet&a grave;, mantenute riservate, e cercarono di vedere se si trovavano dei riscontri. Il risultato di questi incontri a base di «ti mostro quello che ho, se tu mi mostri quello che hai» è stato sorprendente. L’USGS ha presentato una previsione di 650 miliardi di barili ancora da scoprire, mentre la conferenza ne ha previsti solo 250 miliardi; inoltre, quest’ultima ha previsto che le “energie alternative” (idroelettrica, geotermica ecc.) non saranno mai in grado di produrre più di 4-5 milioni di barili al giorno, e anche in questo caso con stime molto più basse di quelle dell’USGS. Questo tipo di incontri riservati fu tenuto anche nei primissimi giorni della crisi del cambiamento climatico, dando vita alla “Conferenza intergovernativa sul cambiamento climatico”. Un più incisivo indicatore della vicinanza al picco è la natura delle scoperte, con la relativa eccitazione dei mercati, che le vedono come il salvataggio dal declino della produzione di petrolio. Una delle scoperte di riserve “non convenzionali” che più hanno suscitato entusiasmo, è stata quella dei giacimenti di bitume dell'Alberta, in Canada. Il problema, con questo tipo di giacimenti, è che il petrolio è molto denso e viscoso, più simile al bitume, appunto, che al petrolio. Ci sono due modi per estrarre il petrolio: il primo prevede che venga tirato fuori dalla terra grazie a enormi escavatrici, quindi sia mescolato in camion della grandezza di una casa e pulito dalla sabbia in macchinari grandi come enormi lavatrici; questo avviene per circa il 20% del petrolio totale; il resto è estratto in situ , come in Alberta, soffiando vapore nel sottosuolo e facendolo uscire 20 . Il risultante “petrolio sintetico” viene poi raffinato a bassa temperatura, dando vita a produtti petroliferi utilizzabili. Se i giacimenti dell'Alberta rappresentano quanto di meglio sappiamo fare, allora siamo seriamente nei guai. Si stima che in Alberta si trovino 175 miliardi di barili di petrolio, cosa che rende il Canada uno dei quattro o cinque Paesi più importanti al mondo. Estrarre petrolio da giacimenti di bitume è estremamente più costoso   che estrarlo da qualunque altro tipo di giacimento, ma il pauroso aumento del prezzo del greggio lo rende finanziariamente consigliabile. Le compagnie petrolifere si stanno ammassando in quella zona e Fort McMurray, la città più importante dell'area, sta vivendo un periodo di boom. Clive Mather, amministratore delegato della “Shell Canada”, descrive le operazioni della sua compagnia nella zona come le più grosse che abbia mai visto nella sua carriera. Gente da tutto il mondo sta raggiungendo quella terra per la “nuova corsa all'oro” 21 .Estrarre dai giacimenti di bitume è come cercare di rimuovere la polvere di cacao da un'enorme torta al cioccolato. Greenpeace calcola che nel 2011 le emissioni annuali di diossina di carbonio supereranno gli 80 milioni di tonnellate di sostanza equivalente alla CO 2 , quantità superiore a tutte le emissioni di autovetture in Canada 22 . Questo genere di produzione, inoltre, comporta la distruzione di ampie aree di foreste boreali. Le due principali debolezze di questo processo derivano dal sistema con cui si produce il vapore che separa il petrolio dal bitume e da dove viene presa l'acqua necessaria per produrre questo vapore. Bisogna rendersi conto che del prezioso gas naturale, peraltro anch'esso nella fase discendente della parabola di estrazione 23 , viene bruciato per produrre “petrolio sintetico”, una qualità molto bassa di greggio. Questa è una follia, non una corsa all'oro. Matt Simmons, un agente di banche di investimento che opera nel settore dell'industria energetica, ha descritto la situazione in questo modo: «Signori, abbiamo semplicemente trasformato l'oro in piombo» 24 . Pur di non confermare il picco del petrolio, si sta raschiando il fondo del barile, cercando di confondere le acque, cosa che in realtà conferma la nostra teoria: abbiamo raggiunto l'apice dell'“era del petrolio” e il periodo dell'energia a basso costo è vicino alla fine. Attualmente, un solo pneumatico montato su un enorme camion costa più di 40.000 dollari. La produzione di petrolio dai giacimenti di bitume necessita che il prezzo del greggio resti molto alto, perché sia conveniente, ma dovremmo chiederci pure cosa succederà, quando anche quello del gas naturale lo diventerà. L'altro elemento che limita l'utilità dei giacimenti di bitume, oltre al gas naturale a basso costo, è l'acqua. Si stima che necessitino tra i 2 e i 4 barili di acqua per ogni barile di “petrolio sintetico” estratto dal bitume 25 . La quantità di acqua che si può prelevare dal fiume Athabasca non è infinita, e ciò rappresenta il principale limite di questo tipo di produzione. A fronte dell'incertezza legata all'estrazione dal bitume, vengono spese enormi quantità di denaro per realizzarla, a causa del fatto che quella zona è una delle poche aree del mondo aperta a investimenti privati nell'estrazione del petrolio. A questo punto, possiamo utilizzare come metafora un bar. Il metodo tradizionale di estrazione, ad esempio quello in corso in Arabia Saudita, è come essere in un bar, con un gentile barista che versa una bevanda dalla bottiglia nel nostro bicchiere. Al contrario, l'estrazione dai giacimenti di bitume, è come arrivare in quel bar quando ormai tutta la birra è finita, ma avere talmente necessità di bere che si comincia a pensare che quel bar è aperto da oltre 30 anni e ha spillato circa 5,000 pinte di birra, così si cerca di scuotere la spinatrice per ottenere birra di nuovo. È la disperata, inutile azione di un alcolista che si rifiuta di vivere senza la sostanza da cui è dipendente, ed è fattibile solo perché il prezzo del petrolio è alto, mentre quello del gas naturale è basso (l'alto prezzo del petrolio è l' unico, dei due fattori dell'equazione, su cui possiamo incidere). Un'altra storia recente indica come le nostre ultime scoperte siano ben poco rassicuranti. Faccio riferimento a una supposta nuova scoperta di giacimenti nel Golfo del Messico, avvenuta nel 2006: tra i 3 e i 15 miliardi di barili (un discreto margine!) 26 , secondo la valutazione eccitata della stampa, cifra che consentiva a molti commentatori di sostenere che a quel punto parlare di picco del petrolio non aveva più senso, e che potevamo andare a dormire sereni. Questa notizia venne usata per sostenere che esistevano ancora vaste riserve inesplorate, che quindi le previsioni apocalittiche del picco del petrolio erano sbagliate e che nel Golfo del Messico c'erano le prove. Se leggete tra le righe questa storia, scoprirete che non è eccitante come sembra (almeno se siete tra coloro che credono che il posto migliore da cui estrarre il petrolio sia il terreno). Questo giacimento, che non si sa se sia fruttuoso o – più probabilmente – deludente, si trova a un miglio di oceano e a 4 miglia di roccia, nella zona del Golfo del Messico più sottoposta agli uragani. Il costo degli specialisti necessari per estrarre da quel genere di acque, supererebbe il mezzo milione di dollari al giorno 27 . Fate il confronto con la facilità con cui le multinazionali estraggono il petrolio dal terreno in Messico o in Arabia Saudita, e sommate questo al calo delle dimensioni delle scoperte... È chiaro che stiamo raccattando le briciole. L' Agenzia internazionale per l'energia, in un documento del 2007 28 , parla eufemisticamente di un «calo delle forniture» nel 2012. Le ragioni per questo fenomeno sono varie e complesse, afferma,   ma non hanno niente a che fare con il picco del petrolio. Andrew Leonard, su www.salon.com , ha scritto:   «Sintetizziamo al massimo il documento: il problema non è che il mondo sta consumando tutto il petrolio, ma che al momento le piattaforme petrolifere in alto mare sono poche e costose; il lavoro specializzato è più raro; le infrastrutture per il trasporto sono limitate; le scelte politiche, come la “nazionalizzazione” in Venezuela e in Russia, oppure i rischi geopolitici in Iran e in Nigeria, stanno ostacolando le ricerche e gli investimenti. Il documento sembra sostenere che i problemi siano unicamente logistici, e non causati dalla quantità di petrolio presente nel sottosuolo, e questo porta alla conclusione che saranno sufficienti 3 milioni circa di barili di nuove forniture all'anno, per neutralizzare il declino del numero di nuovi giacimenti petroliferi e le preoccupazioni legate al fatto che i rischi delle estrazioni sopra il livello del mare siano considerati superiori a quelli effettuati al di sotto, almeno nel medio p eriodo». 29   A ogni modo, Leonard è molto dubbioso su queste motivazioni fornite e afferma che «se c'è puzza di picco, vuol dire che il picco si sta avvicinando». Il picco del petrolio assomiglia sempre di più a un elefante in un negozio di porcellane, via via più difficile da ignorare. Tutte le valutazioni fatte dall'Agenzia, anche se corrette, sono ormai superate dalle limitazioni geologiche. La motivazione per me più convincente del fatto che ci stiamo avvicinando al picco del petrolio, è legata al cambiamento delle strategie finanziarie delle multinazionali petrolifere. Innanzi tutto le sempre più frequenti e gigantesche fusioni tra le varie compagnie, una pratica a volte definita «esplorazioni a Wall Street». Il valore di una compagnia petrolifera dipende dalle riserve di cui dispone e dalla futura produzione che ne potrà ricavare. Visto che l'andamento delle scoperte è in continua diminuzione, dal 1965 (v. figura 2), diventa sempre più difficile, per le industrie, avere delle riserve che garantiscano una buona produzione in futuro. È diventata un'abitudine, per le compagnie più grosse, acquisire le più piccole, assorbendone quindi anche le riserve. Va detto che le compagnie petrolifere si sono sempre comportate co sì, ma ora le dimensioni di tale fenomeno stanno diventando enormi. In un recente articolo di David Strahan viene presa in esame la possibilità di una fusione tra BP e Shell, un'operazione fino a pochi anni fa semplicemente impensabile 30 . Nonostante le loro dichiarazioni, secondo le quali il picco del petrolio è di là da venire, e quindi non c'è motivo di preoccuparsene, questa trattativa, se dovesse proseguire, sarebbe motivata principalmente dal fatto che le due compagnie, pur producendo ancora petrolio, non sono più in grado di rimpiazzare la quantità messa sul mercato con altra “fresca” proveniente dalle riserve. La BP sta cercando di aumentarle attraverso il progetto TNK-BP in Russia, sommando quelle della compagnia russa alle proprie, ma al momento, appena dopo la realizzazione del progetto, il divario tra produzione e riserve sta tornando ad aumentare. Un altro recente e affascinante fenomeno è quello che vede le compagnie petrolifere ricomprare le proprie azioni sui mercati borsistici. Si calcola che la “Chevron Corporation”, se continuerà a riacquistare le proprie azioni ai ritmi attuali (con una spesa di 5 miliardi di dollari nei prossimi 3 anni), le avrà liquidate tutte entro il 2023 31. La “Exxon” fa la stessa cosa, spendendo circa 30 miliardi di dollari all'anno. Con gli attuali alti prezzi del petrolio, le compagnie stanno incassando moltisimo denaro, ma non hanno modo di reinvestirlo. Con il calo delle scoperte, gli investimenti nella ricerca forniscono uno scarso ritorno, quindi attirano poche risorse. Questo dimostra che attualmente il picco del petrolio è un fattore che influisce nelle scelte degli esecutivi delle multinazionali petrolifere, come si deduce dal “Documento di analisi della produzione globale” del 2007, che recita:   «Crediamo che il tema (il picco del petrolio) sia diventato parte integrante di ogni programmazione a lungo termine delle compagnie. Se questa teoria è corretta, e quindi il declino della produzione mondiale è imminente, ogni industria deve scegliere tra 4 opzioni: diventare un soggetto dominante sul mercato, trovare una proficua nicchia di mercato, aumentare il capitale o liquidarlo il più velocemente possibile». 32   Il riacquisto delle proprie azioni è un chiaro indicatore della continua diminuzione delle scoperte e dei ritorni degli investimenti nelle ricerche e suggerisce che le industrie stanno già pianificando un proprio restringimento. Se volete, queste sono le 5 principali ragioni che mi spingono a ritenere che il picco del petrolio sia imminente. Ce ne sono molte altre, come potrete vedere nella sezione delle fonti, in fondo al libro, oppure dando un'occhiata su Internet 33 .

Alla fine del ragionamento, va detto che il petrolio e i gas naturali sono risorse finite. Appare chiaro che 60 delle 98 nazioni produttrici di petrolio sono in crisi e che anche le più importanti, come l'Arabia Saudita, faticano moltissimo a far incontrare offerta e domanda 34. Considerato che il punto di picco rappresenta un punto di svolta di proporzioni mai viste, diventa lecito domandarsi: quando ci si aspetta di arrivarci?