Così come John Seymour e molti altri, Cobbett per primo si rese conto che, attraverso il processo di industrializzazione, venivano pericolosamente sottratte ai singoli individui le potenzialità per soddisfare autonomamente le necessità primarie: cibo, tetto e relazioni sociali.
Cobbett era un agricoltore, un politico ed un pensatore, fu naturale che la sua “rivoluzione” prendesse spesso la forma di un orto.
Anche io ho avuto un percorso simile.
Un tempo fui impiegato attivamente nella cooperazione sociale. Poi, dispersi il seme della ragione tra ristoranti d’alto bordo come maitre e direttore di sala, o dietro banconi bar di localini dall’estetica minimal. Preso dal tourbillon, finii anche a lavorare in un ufficio stampa… poi, ho fatto collassare tutto. Come abbia fatto non credo sia importante, non fu comunque una mossa “ideologica”.
L’unica cosa rimasta uguale sono io.
Nel senso che sono proprio io: quello che preparava cocktail martini disquisendo sul Dottor Gimlett, famoso per aver tracciato la strada verso la bevanda preferita da James Bond componendo un mix di gin e succo di lime da imbarcare sulle navi olandesi come medicinale anti scorbuto.
Quando ci si estranea dal ciclo del lavoro la prima cosa che ti frega è la paura.
Poi capisci che la paura agisce per sottrazione: hai paura di ciò che non potrai più avere, possedere, hai paura di ciò che non potrai più fare. Hai paura delle conseguenze.
A quel punto subentra l’istinto di conservazione.
Nel mio caso si traduce, in questo esatto momento, nel sovvraprodurre sapone come ormai mi capita di fare da un paio di anni a questa parte quando fuori fa troppo freddo e piove, impedendomi di andare a passeggio nell’orto.
A quel punto ti accorgi che le analisi di Teodor Shanin sono corrette: il 75% del mercato mondiale è retto dall’economia informale.
Il complesso di lavoro “nero” (dall’operaio extracomunitario non registrato alla vicina di casa che fa baby-sitting), lavoro volontario (la quantità di realtà economiche quali musei o fondazioni che utilizzano i volontari), lavoro affettivo (i figli che si occupano a casa dei genitori anziani sottraendoli all’economia delle case di riposo), il lavoro illegale (il 15% del pil mondiale è dato dalle attività criminali), i lavori di sussistenza (farsi l’orto o allevare le galline per uso personale) giungendo fino al baratto ed alle attività casalinghe, compongono i tre quarti degli scambi economici mondiali. Queste attività sono quelle che realmente ci sostengono a livello globale.
Sembra assurdo, ma quello che sta accadendo è la nascita di un mercato, di un’economia non soggetta alle fluttuazioni irresponsabili della finanza e dell’economia “classica” e dalla legge della domanda e dell’offerta. Un mercato di cui i partecipanti hanno la diretta responsabilità.
Gli amici che ci hanno chiesto di condividere il surplus dell’orto sono gli stessi che ci hanno fornito l’olio con cui hanno cucinato le verdure e che oggi, io, sto trasformando in saponette.
E’ una dinamica a circuito chiuso. Sostenibile. Tutti vincono, l’ambiente si risparmia litri di olii esausti nello scarico del lavandino, io ho tempo per leggere, ascoltare musica, annoiarmi e gli amici hanno verdura fresca e prodotti di qualità superiore (credete sia meglio il sapone ottenuto da derivati del petrolio o quello di olio d’oliva cotto?).
E’ cercando una progressione positiva all’interno di dinamiche di mutuo beneficio che siamo arrivati a studiare, applicare e (per quel che mi consente la mia attitudine al cialtronismo) sviluppare dinamiche di sostenibilità tra cui trovano posto la permacultura, l’agricoltura sinergica e tutti i correlati.
Non stavo pensando di fare questo da grande. Ma questo mi piace e vista la piega che stanno prendendo gli eventi nel mondo… è meglio se faccio ancora un po’ di allenamento.
Intanto, se vi interessa, scriverò appunti su ciò che faccio e studio.
19 Marzo 2009 - Scrivi un commento
Santina - Gli asparagi? Complimeti... io devo ancora provarci! Mò vado a cercarmi delle "zampe"... per ora vado forte con il raccogliere quelli selvatici! ;)