"In tanti anni di attività, abbiamo avuto modo di osservare a lungo i bambini delle scuole di oggi e ci siamo resi conto che essi costituiscono la prima generazione convinta che il loro ambiente naturale sia la città, e dalla città traggono i propri valori di riferimento. Naturalmente si tratta di valori invertiti".
Ci spieghi meglio...
"Vi racconto un aneddoto significativo. Una volta abbiamo sentito dire ad una bambina che addentava una mela in pausa pranzo “Questa mela sa di shampoo!”. Ciò vuol dire che la bimba ha acquisito il valore /mela/ attraverso il valore /shampoo/, esattamente al contrario di come dovrebbe avvenire. E non sono rari gli esempi dei più piccoli convinti che le galline abbiano sei zampe, perché la loro mamma compra al supermercato confezioni da sei fusi di pollo".
Lo scenario dei bambini di oggi è davvero così desolante?
"Sì, ma anche noi adulti ci scontriamo ogni giorno con paradossi simili. Quante volte si sente dire che un fiore è tanto simmetrico e perfetto da sembrare di plastica, o che il mare è calmo e sembra una piscina...? Sono modi di dire entrati a far parte del gergo quotidiano. Evidentemente qualcosa si è rotto nella relazione intima che legava l’essere umano al nostro pianeta".
Alla luce dei fatti, c’è molto da lavorare. Da dove comincia l’“educazione alla terra”?
"Si comincia proprio cercando di ristabilire quel contatto con l’ambiente, che sia prima di tutto sensoriale. Quando si entra in un bosco, ad esempio, la prima impressione è il silenzio, la pace che regna, ma dopo qualche minuto che si sta in ascolto, ci accorgiamo di una infinità di piccoli suoni e rumori. Il nostro orecchio, tarato ormai ad una soglia di percezione molto bassa in città, si è dovuto riadattare, a fatica, a nuovi parametri".
Quindi, con questo primo approccio, si risvegliano i sensi sopiti, in un certo senso...
"Esatto, ma non solo. Per costruire un programma di educazione alla terra, bisogna anche abbattere le barriere che tutti si portano dietro dalla città. A volte incontriamo delle difficoltà a convincere degli adulti a prendere un po’ di terra con le mani. Questo è il “primo mattone” del programma, che di solito consiste in quelle che chiamiamo “passeggiate con la terra”, rigorosamente all’aperto".
Una volta che le persone hanno “riacquistato confidenza” con l’ambiente, come continua la loro esperienza?
"Qui bisogna fare una premessa, e tornare indietro ai primi anni delle nostre attività nella Riserva Naturale dello Zingaro. Da una serie di questionari a disposizione dei visitatori emerse che i tre interessi primari del fruitore medio di una riserva naturale potevano essere riassunti in quelle che abbiamo scherzosamente definito “le tre P”: panorama, panino e pipì. Il tipo di pubblico con cui si ha a che fare doveva essere quindi il punto di partenza da cui costruire tutti i programmi. In tal senso si deve parlare di educazione «di base e di massa»: si parte dalle informazioni essenziali e si adotta un linguaggio comprensibile per tutti".
Il “secondo mattone” in cosa consiste quindi?
"Si tratta degli “incontri di concetto”, in cui ci si concentra su quattro concetti basilari: il flusso di energia, il ciclo degli elementi (aria, acqua, terra, fuoco), le interrelazioni ed il cambiamento. Attraverso alcune attività, si cerca di renderli tangibili e alla portata di tutti. Per esempio, la fotosintesi è “vissuta” in prima persona dalle persone che, divise in “clorospie” e “trasportatori molecolari”, entrano fisicamente in una grande foglia ricostruita percorrendone e attuando le varie fasi".
E dopo questa fase in cui si impara giocando...?
"Arriva il momento di interiorizzare quanto vissuto e appreso, in un luogo che definiamo “posto magico”. Le persone scelgono un posto dove si sentono a proprio agio, in un ambiente naturale preferibilmente tranquillo, dove sedersi a riflettere in silenzio".
Quali sono gli obiettivi che un programma come questo vuole raggiungere nell’immediato?
"Oltre che informare e sensibilizzare alle problematiche dell’ambiente, l’obiettivo principale, ancora più importante nel caso dei fruitori più giovani, è correggere piccole “cattive abitudini ambientali”, dal chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti a riutilizzare i fogli di carta più volte, da non buttare via le matite solo perché sono spezzate (si possono temperare dall’altra parte!) a non sprecare il cibo...".
Come rispondono i bambini alle attività dell’“educazione alla terra”?
"Si divertono e si sentono responsabilizzati. Alla fine del percorso ci tengono a diventare “guardiani della Terra”, ma prima devono superare tante prove. Una delle ultime consiste nell’incaricare la loro maestra di conservare l’immondizia prodotta in classe per 2-3 giorni. Quando noi operatori andiamo ad aprirla, di prassi troviamo fogli solo appena scarabocchiati e accartocciati, resti di cibo quasi intonso e altro ancora. Dall’analisi dei loro stessi rifiuti, i bambini si sentono mortificati e pieni di vergogna, si rendono conto degli sprechi che potevano evitare. Li assale lo sconforto, perché credevano di essere finalmente vicini all’obiettivo finale".
Non lascerete i bambini con la tristezza nel cuore...
"Certo che no. A quel punto, ciascuno di loro si impegna per iscritto a correggere le sue cattive abitudini ambientali di lì ai mesi a venire. Quando torniamo a scuola, se la maestra ci garantisce che i loro comportamenti sono stati corretti, terminiamo il programma con una grande festa in cui consegniamo gli attestati di “guardiani della Terra”!"
Quali sono le vostre speranze per il futuro?
"La cosa più bella è che, quando facciamo formazione per le scuole superiori, arrivano nel nostro centro Pacha Mama ragazzi che, ormai cresciuti e maturati, ci mostrano il loro vecchio tesserino di guardiani della Terra. Il loro tornare da noi, oltre a riempirci di soddisfazione, ci dà garanzia di continuità e di aver inciso in qualche modo su queste persone, che magari domani potrebbero diventare i futuri educatori alla Terra".
28 Dicembre 2008 - Scrivi un commento