L'Aquila: città in transizione

Dopo Monteveglio e Granarolo, L'Aquila - primo capoluogo di provincia italiano - ha avviato il processo di transizione che dovrebbe condurla dall'era del petrolio a quella prossima ventura. Abbiamo intervistato Gabriella Liberatore, una delle fondatrici del gruppo guida locale, per raccogliere le sue prime impressioni.

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di Daniel Tarozzi


Tre mesi fa abbiamo conosciuto Gabriella Liberatore in occasione del primo incontro italiano sulle città di transizione che si è tentuto alla Libera Università di Alcatraz, ospiti di Jacopo Fo.

Fin da quel primo incontro preliminare Gabriella aveva mostrato di essere molto determinata nel far partire un processo analogo a quello delle transition town inglesi nella propria città.

Qualche settimana dopo, durante il seminario tenuto a Monteveglio dagli inglesi Sophie e Naresh (vedi la video-intervista), Gabriella era stata tra le più combattive e, con le sue continue domande, sembrava polemica, a tratti persino scoraggiata.

E invece ci troviamo a raccontare del primo capoluogo italiano ad avere avviato l'ambizioso, complesso e auspicabile processo di transizione da una società basta sulle fonti fossi ad una "diversa", incentrata su energie rinnovabili, filiera corta, abbattimenti degli sprechi, permacultura, ma più di tutto basata sulla riscoperta delle relazioni sociali e di un diverso modo di concepire i beni e le persone.

Sabato scorso c'è stato "l'evento inaugurale" e sono accorse più di settanta persone ad ascoltare per oltre tre ore Cristiano Bottone parlare di picco del petrolio, cambio di stili di vita, transition town e resilienza.

Per chi volesse leggere un resoconto di quella serata rimandiamo al blog di Cristiano.

Adesso, invece, "lasciamo la parola a Gabriella Liberatore.

Gabriella, L'Aquila in transizione... Che significa?

"L'Aquila in transizione per il momento significa solo che ci siamo presi l'impegno di portare avanti tale progetto nella nostra città. È solo il primo brevissimo passo".

Non sono passati nemmeno tre mesi dal primo incontro italiano sulla transizione, eppure si sono mosse moltissime cose. Cosa sta succedendo all'Aquila?

"Al ritorno da Alcatraz durante una assemblea generale dei soci dell'associazione di promozione sociale Panta Rei, ho voluto riportare quanto avevo ascoltato. Sono otto anni che mensilmente organizziamo conferenze atte alla crescita delle coscienze e la Transizione non poteva certo essere ignorata".

Com'è nata l'iniziativa e com'è stata accolta?

Dopo lo sgomento iniziale per quanto riferivo sul picco del petrolio è seguito l'entusiasmo per ciò che invece è possibile fare. All'unanimità è stato deciso di intraprendere ogni iniziativa perché la transizione potesse avvenire al più presto".

Quali le difficoltà più grandi che non ti aspettavi e quali quelle che ti aspettavi e non hai incontrato?

"La difficoltà più grande è sicuramente essere credibili e non fare terrorismo. Ogni volta che perdi di vista queste due cose, fallisci.

La cosa che mi sorprende di più è che a volte quando parlo della Transizione sembra che la gente la stesse aspettando".

Quali sono i vostri obiettivi a breve, medio e lungo termine?

"Sicuramente raggiungere il maggior numero di persone a cui comunicare è il primo obiettivo che ci siamo prefissi. A medio e lungo termine ancora non possiamo dire nulla: la Transizione va dove vuole".

Che tipo di risposta sta dando "la città"?

Dire che la città stia già dando una risposta è ancora prematuro. Che qualcosa si muove si vede dall'elenco di indirizzi e-mail che le persone ci lasciano per essere contattate".

Non temi che la tua sia una realtà "troppo grande" per poter incidere realmente?

"No, ogni percorso inizia con un piccolo passo, e per fortuna non devo fare tutto io. Il nostro compito per ora è solo comunicare e nel gruppo iniziatore siamo in sette".


Gabriella Liberatore e Cristiano Bottone in occasione dell'avvio del processo di Transizione di L'Aquila
Come intendi relazionarti a chi, come Monteveglio e Granarolo, ti ha preceduto?

"Con Cristiano Bottone siamo continuamente in comunicazione, molta forza la prendo da loro e da loro mi faccio tranquillamente suggerire".

E con le transition town inglesi?

"Ne so ancora troppo poco. Penso comunque che staremo a guardarli come a dei fratelli maggiori".

La tua più grande paura e la tua più grande speranza?

"Non avere il tempo per poter cambiare. La mia speranza è che mi sbaglio".

15 Dicembre 2008 - Scrivi un commento
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