Guarigione come Crescita

Incontro con uno sciamano

Questa settimana vi condurremo nell’isola di Pemba, dove antichi poteri e arcani equilibri tra scienza e mistero, tra uomo e natura, sembrano ancora esprimersi in modo puro e primordiale. È qui che abbiamo incontrato Salim Bum, un uomo affetto dalla lebbra. Un malato? No, un guaritore.

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di Giancarlo Tarozzi


L'isola di Zanzibar si trova ad una cinquantina di chilometri dalle coste della Tanzania.

Una volta alla settimana, da Stone Town - capitale dell'isola - parte un cargo che, dopo una traversata che dura tutta una notte, giunge all'isola di Pemba.

Viaggiare sulla Spice Islander (questo il nome del cargo) è di per sé un'esperienza “unica”: è necessario arrivare almeno 2 ore prima (ma 3 ore è ancora meglio) e farsi strada in una calca indescrivibile per riuscire a salire sulla nave e trovare una sistemazione di "prima classe" per la notte: quella che viene definita prima classe è lo stanzone centrale della nave, le cui porte vengono chiuse durante la notte e nel quale ci si può sistemare sdraiandosi per terra o, se si è fortunati, distendendosi o sedendosi su divanetti.

All'esterno di questa stanza, si svolge una scena che merita veramente di essere descritta: le persone si accalcano da ogni parte, sdraiate o sedute sulla merce (dopotutto, si tratta pur sempre di una nave da trasporto). Non resta libero nemmeno lo spazio per camminare.

Comunque, in un modo o nell’altro, più o meno intorno all'ora stabilita, la nave parte per il suo percorso notturno.

Il mattino seguente, in un orario variabile in base alle condizioni del mare, si giunge a Wete, città posta nella parte settentrionale dell'isola di Pemba.

Essendoci in quel momento bassa marea, lo spettacolo che accoglie chi arriva può sembrare a prima vista surreale: decine di barche sono adagiate sul fondo corallino del mare che si è completamente ritirato assumendo una postura che le rende simili a relitti. Qualche ora dopo, quando la marea risalirà, le barche riprenderanno a poggiare sull'acqua.

Per andare a trovare “Salim Bum” (o “Salum Bum” come lo chiamano alcuni) è necessario poi prendere una strada lunga circa 5 km che si può percorrere a piedi oppure per mezzo di pulmini adibiti al trasporto di dodici persone, ma in cui i passeggeri non scendono mai sotto la trentina: arrampicati sul tetto, aggrappati al predellino posteriore e così via...

Noi abbiamo scelto per la prima esperienza il percorso a piedi, decisamente affascinante considerando che la strada si snoda in mezzo alla giungla. Al termine della camminata, giungiamo finalmente al villaggio in cui vive Salim Bum, uno degli ultimi guaritori tradizionali rimasti a Pemba, che porta avanti metodi di guarigione che si tramandano da tempi immemorabili e che agiscono attraverso il ricorso ad erbe e al contatto con gli spiriti.


Colpito fin dall'infanzia da una forma grave di lebbra, Salim Bum è quasi del tutto privo delle dita delle mani e di gran parte dei piedi, ma questo non gli impedisce di dedicare la sua vita al servizio di chi soffre dispensando ai bisognosi, senza mai stancarsi o negarsi, i suoi metodi tradizionali di guarigione.

Eddie, la guida che ci accompagna, ci racconta come da bambino avesse contratto la malaria e di come con l'aiuto di Salim Bum, fosse guarito. Ma non è l’unico! In molti altri sembrano voler fare a gara nel raccontarci episodi di guarigione che hanno vissuto direttamente o che hanno riguardato persone a loro care. Insomma, sembra che abbiamo incontrato un vero “medicine man” (uomo-medicina).

Salim Bum ci accoglie nella sua capanna; oltre a noi sono presenti alcune donne estremamente simpatiche, probabilmente sue parenti e collaboratrici, che accompagnano la conversazione con frequenti risate o battute.

Il contenuto specifico della conversazione che abbiamo avuto rientra in una sfera estremamente personale; posso solo dire che mi sono ritrovato estremamente soddisfatto delle risposte, delle indicazioni, dei suggerimenti e degli strumenti che ho ricevuto. Ma in fondo il contenuto orale del nostro incontro non è nemmeno così importante. Più che le parole (che per di più si perdevano di intensità nel passaggio dallo Swaihili, all’inglese e quindi all’italiano), infatti, ciò che è rimasto profondamente impresso in me è il ricordo dei suoi occhi penetranti che non mi hanno mai abbandonato dal momento in cui sono entrato nella sua capanna; è attraverso quegli occhi che è stato detto e comunicato molto più di quello che le parole potevano fare. È attraverso quegli occhi che ho vissuto appieno un incontro con uno sciamano.

26 Novembre 2008 - Scrivi un commento
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