Maurizio Pallante e la Decrescita Felice
Prima puntata

State per leggere il primo di una serie di articoli basati sulla conversazione che abbiamo avuto con Maurizio Pallante lo scorso settembre in Piemonte. In questo primo “capitolo”, Pallante ci introdurrà al concetto di Decrescita Felice accennando alle sue origini, spiegandoci la differenza tra beni e merci e dimostrandoci che la decrescita è intrinsecamente felice. Buona lettura!

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di Daniel Tarozzi

Maurizio Pallante
Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice
Tra circa un mese (il 15 dicembre 2008) l’Associazione Movimento per la Decrescita Felice compirà un anno. Poche settimane dopo, il 12 gennaio 2009, si celebreranno due anni da quando Maurizio Pallante ha proposto ad un primo gruppo di persone la formazione del Movimento.

Eppure, a nemmeno due anni dal suo concepimento, questo Movimento e questa corrente culturale si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta Italia, ricevendo consensi sempre crescenti e presenziando a tutti i più importanti eventi legati all’ecologia, all’ambiente, alle energie, ai rifiuti, ai nuovi stili di vita.

Sempre più persone, quindi, avranno sentito parlare di “decrescita”, ma in pochi, forse, sanno esattamente di che cosa si tratti. Abbiamo quindi intervistato Maurizio Pallante - fondatore e presidente del movimento, nonché autore del libro “La Decrescita Felice” e di molti altri testi che vertono su queste tematiche – per capire e raccontarvi che cosa sia questo Movimento e quali siano i suoi obiettivi.

Abbiamo incontrato Maurizio Pallante nella sua nuova casa piemontese. L’accoglienza è stata molto calorosa e informale. Ci siamo seduti nel suo giardino, vicino all’orto che cura con la compagna, e tra una carezza e l’altra a Sofia, il suo cane, abbiamo intavolato una lunga conversazione.

Ne riportiamo qui una fedele trascrizione, anche se ci è difficile trasmettere sulla “carta” le emozioni suscitate dal carisma e dalla parlata di Maurizio Pallante.

Cosa è la Decrescita e quali sono le sue origini?

Il libro di Maurizio Pallante La decrescita felice
La copertina del libro di Maurizio Pallante La decrescita felice
“Fino a poco tempo fa, la parola decrescita era stata abolita dal vocabolario. Anche oggi, sui giornali, quando l’economia non cresce si dice che sta attraversando una fase di crescita negativa. Che è una specie di ossimoro, come dire che un vecchio ha una gioventù negativa.

Però, nell’ambito dell’economia, pare che questo tipo di ossimoro abbia credibilità...

Tra i padri nobili della decrescita troviamo il Pasolini polemista degli anni '70 contro il progresso e l’omologazione delle culture, la perdita delle specificità e così via. Già a quel tempo, quindi, si parlava dei temi cari alla decrescita, anche se ancora non la si chiamava in questo modo.

È però ultimamente che questo discorso della decrescita ha cominciato a prendere piede grazie alla lezione di Latouche (anni ’90) che ha avuto notevole successo prima in Francia e poi in Italia.

Il suo legame con l’Italia è talmente forte che alcuni suoi libri sono stati pubblicati prima nella versione italiana che in quella originale francese.

Questa riflessione si è poi intrecciata con alcune frange del movimento ecologista- ambientalista. Non con la frangia riformista, secondo la quale se vogliamo poter continuare a far sì che l’economia cresca lo sviluppo deve essere sostenibile, cioè deve avvenire con tecnologie meno impattanti sull’ambiente e quindi sostituendo le fonti rinnovabili a quelle fossili. Questa corrente di pensiero, infatti, non contesta il paradigma dello sviluppo, della crescita, ma ricerca modalità “sostenibili” alla crescita stessa.

Il concetto di decrescita, invece, si è ben miscelato con la corrente ambientalista che vedeva l’ecologia come un paradigma culturale, un nuovo modo di concepire i propri stili di vita.

Ancora oggi il dibattito sulla decrescita è molto diffuso e al suo interno ci sono posizioni non del tutto omogenee. Questo è inevitabile nella fase emergente di una nuova teoria. Ognuno porta un po’ del suo retroterra, delle sue caratteristiche. Queste diverse visioni, comunque, non mi sembrano un limite, ma una ricchezza, proprio come la biodiversità”.

Kill Pill
Locandina Kill Pill
In che modo il movimento da te fondato si inserisce in questo contesto?

“Noi del Movimento per la Decrescita Felice abbiamo inteso la decrescita come un discorso che nasce in ambito economico, ma travalica subito in ambito filosofico, in una concezione di vita, in un paradigma culturale. Per noi, la decrescita non coincide semplicemente con la sobrietà, con un minore livello di consumi, con una maggiore giustizia sociale.

A nostro modo di vedere, infatti, questi discorsi rimangono all’interno di un ambito redistributivo delle risorse tutto interno al modello vigente. Invece, noi cerchiamo di andare un po’ più a fondo su questo ragionamento e definiamo la decrescita come la diminuzione della produzione e del consumo delle merci che non sono beni e l’aumento della produzione e del consumo dei beni che non sono merci. Questa distinzione tra beni e merci è per noi fondamentale”.

Qual è la differenza tra bene e merce?

“Una merce è un oggetto o un servizio che può essere acquistato o scambiato con denaro. Un bene è ciò di cui un cittadino ha realmente bisogno, ma che non necessariamente deve essere acquistato o scambiato con denaro.

Il PIL (Prodotto Interno Lordo), su cui è fondata l’intera economia mondiale, non misura i beni, ma le merci. Se non c’è scambio di denaro, se non c’è transazione economica, un bene, anche primario, che viene scambiato e consumato dai cittadini, non può contribuire alla crescita del Pil.

Siccome noi, da alcune generazioni, siamo abituati a comprare tutto ciò di cui abbiamo bisogno, tendiamo a identificare il concetto di bene con il concetto di merce, perché tutto quello che ci serve lo acquistiamo. Invece, la distinzione va fatta perché non solo sono due concetti diversi, ma spesso sono due concetti che confliggono tra di loro.

Esistono delle merci che non sono beni e esistono dei beni che non sono merci”.

Ad esempio?

“Faccio l’esempio di una merce che non è un bene. Per riscaldare i nostri edifici in Italia consumiamo mediamente 20 litri di gasolio al metro quadrato all’anno (la definizione più rigorosa è 200 kilovattora al metro quadrato all’anno, però corrisponde grosso modo a queste grandezze). In alcuni comuni italiani ed esteri non è consentita la costruzione di edifici che consumino più di 7 litri al metro quadrato all’anno. In queste realtà questi edifici sono i peggiori, i migliori ne consumano solo 1,5.

Un edificio mal costruito, che disperde gran parte del calore, fa però crescere il Pil di più degli edifici ben costruiti che non disperdono il calore.

I 13 litri in più, che in media si consumano in una casa mal costruita, sono una merce che si paga e che viene sprecata, ma non sono un bene perché non serve a riscaldare. Se ci fosse un governo che predisponesse come punto centrale della sua politica economica la ristrutturazione degli edifici che consumano 20 litri si andrebbe verso una decrescita felice del Pil”.

Quindi esistono merci che non sono beni. E per quando riguarda i beni che non sono merci?

ortaggi
“Esistono anche dei beni che non sono merci. Se raccolgo dei pomodori dal mio orto, non vado a comprarli al supermercato, per cui faccio diminuire la domanda della merce frutta e verdura, perché la produco per me stesso. Paradossalmente vengo percepito come un asociale perché faccio decrescere il Pil.

Ogni anno c’è un ingegnere bravissimo, pugliese, che nel mese di settembre mi manda un sms e mi dice “se domani vedi che il Pil è diminuito sappi che è colpa nostra perché ci siamo fatti la passata di pomodoro!”

Un bene che una persona si autoproduce per se stesso o scambia per amore e non per denaro (può essere anche un bene immateriale, un servizio, un figlio che guarda i genitori anziani anziché darli alla badante o un genitore che guarda il bambino piccolo anziché darlo alla babysitter), fa decrescere il Pil. Chi invece lascia i figli alle babysitter e i vecchi alle badanti fa crescere il Pil perché mercifica questo servizio.

Quindi tutte le volte che si autoproduce un bene o si scambia un servizio per amore si fa decrescere il Pil”.

Perché parli di decrescita “felice”? In che senso?

“Qui l’aggettivo felice non viene usato in senso soggettivo per dire che la persona che fa la decrescita è felice, ma in senso oggettivo. Se la decrescita è intesa come diminuzione della produzione e del consumo di una merce che non è un bene, infatti, questo processo è intrinsecamente apportatore di felicità e benessere.

Torniamo all’esempio delle case. Il metabolismo del nostro corpo è fatto in maniera tale che noi scambiamo il 70% del calore che produciamo per irraggiamento con le pareti di una stanza e il 30% con l’aria di una stanza, per cui se una persona si trova in una stanza con la temperatura più bassa e le pareti calde ha una sensazione di comfort termico superiore di quella che si avrebbe in una stanza con la temperatura più alta e le pareti fredde.

A me è capitato di andare a visitare lo studio di Renzo Piano, bellissimo, sul mare, tutte pareti di cristallo, una temperatura di 22 gradi, però bisognava stare con il cappotto.

Una casa che disperde 13 litri su 20 ha sempre le pareti fredde. Una casa che ne consuma 7, e non li disperde, ha le pareti più calde. Quindi, in una casa che richiede un minore consumo di riscaldamento si sta meglio, e la decrescita è intrinsecamente felice - e apportatrice di benessere - non solo per le persone che abitano in quella casa, ma per tutta la collettività.

Infatti, una casa che consuma 7 litri di gasolio manda in atmosfera i 2/3 in meno di CO2 rispetto ad una casa che ne consuma 20, riducendo quindi l’effetto serra.


C’è poi il fattore qualità della vita. Io mi coltivo le verdure nell’orto. Vi assicuro che quei pomodori che mangio non hanno paragoni con i pomodori che si comprano. Li faccio per me stesso, quindi non uso concimi. In questo modo, nel mio piccolissimo, diminuisco il contributo complessivo al danno che l’agricoltura industriale comporta alla superficie terrestre . L’ultima volta che ho mangiato un pomodoro “da supermercato” ero in aeroporto. Era un panino mozzarella e pomodoro. Ancora adesso non so cosa ho mangiato. Aveva la forma del pomodoro senza averne il sapore. Ecco, per tutti questi motivi, la decrescita è intrinsecamente felice”.

Finisce qui la prima parte della chiacchierata con Maurizio Pallante. Nelle prossime settimane vi proporremo il resto. Scopriremo il ruolo delle tecnologie nella decrescita, approfondiremo le modalità di azione e le finalità del movimento, indagheremo sul suo rapporto con la politica, sul ruolo della donna, sul tempo libero.

Tornate a trovarci!

11 Novembre 2008 - Scrivi un commento
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